«Sa cos'è che mi preoccupa adesso?»

Che cosa, professore?

«Che si continua a parlare solo di Fase 2».

La riapertura in sicurezza non è fondamentale?

«Certo che lo è, ma è necessario pensare alla Fase 3, a quello che potrà succedere in autunno. Siamo già in ritardo e se non lo facciamo adesso, subito, il rischio è che arrivi una seconda ondata dell'epidemia. In Asia si stanno già preparando».

È una possibilità concreta?

«Non sono un epidemiologo per dirlo con sicurezza, ma questo è un virus bastardo. E' vero, lo conosciamo ancora poco, ma una caratteristica è apparsa subito chiara: la velocità di trasmissione. Questa impone, dal canto nostro, una velocità enorme nelle risposte. Per questo dico che è adesso il momento di pensare alla possibilità concreta di una seconda ondata dell'epidemia ed è bene organizzarsi».

Il professor Germano Orrù da fine gennaio vede più il coronavirus che sua moglie. Cinquantotto anni, di Uta, docente di Tecnologie mediche nella Facoltà di Medicina dell'Università di Cagliari, è l'uomo che con la sua équipe dell'Aou ha sequenziato il gene N di Sars Cov-2 del paziente zero sardo. «Diciamo che sequenziando il gene N è come se, vedendo la macchina di un ladro che scappa, fossimo riusciti a fotografare la targa. Per il resto, a Cagliari stiamo facendo un lavoro d'équipe con altri colleghi virologi per sequenziare il virus e capire com'è il Sars Cov-2 sardo rispetto ai virus presenti altrove».

In Sardegna è diverso?

«Non lo sappiamo, stiamo ancora studiando. Sappiamo però che la proteina N è uguale a quella cinese».

Anche a quella lombarda?

«Sì, pressoché identica».

Lei e altri scienziati dite che ancora non si conosce la sensibilità del virus al caldo, ma che teoricamente le alte temperature possono rallentare la trasmissione.

«Non ci sono dati sicuri, ma i droplet, le goccioline che trasportano i virus, col caldo evaporano più velocemente. Poi, nei Paesi dell'Equatore si è osservata una mortalità un po' inferiore, è vero, ma potrebbe essere dovuta all'età più giovane della popolazione e alla non accuratezza nella raccolta dei dati».

Cioè il virus è meno virulento?

«Non è questo. Teoricamente il caldo può agire su due fronti: il virus e il paziente. Nel primo caso non conosciamo ancora le reazioni dell'agente patogeno, sappiamo però che ha un rivestimento lipidico, grasso, il che potrebbe renderlo più sensibile. Nel secondo caso, sappiamo benissimo che il freddo stressa il sistema immunitario e che il paziente è più suscettibile alle infezioni in genere».

Però ancora non conosciamo le reazioni di Sars Cov-2.

«Esattamente. Studi epidemiologici, fatti specialmente in Cina e a Singapore, suggeriscono che il caldo ha un'influenza positiva sulla trasmissibilità: il fattore R0 diminuisce, il virus diventa meno infettante, ma non sappiamo di quanto. I dati preliminari suggeriscono che potrebbe non diminuire di molto».

Cosa dobbiamo aspettarci dunque?

«Non dobbiamo illuderci, sicuramente resteranno serbatoi di infezione, anche a Cagliari, e sì, anche col caldo. Noi abbiamo pazienti che dopo 40 giorni sono ancora positivi. In Cina stanno descrivendo casi positivi dopo 70 giorni. Il punto è che non sappiamo quanto sono infettanti».

Perché non lo sappiamo?

«Perché molto spesso la positività e la negatività dipendono dal periodo dell'infezione. Da uno studio pubblicato giorni fa su Jama, rivista americana di medicina tra le più autorevoli, sappiamo che per due settimane i pazienti contagiati potrebbero essere negativi ai tamponi, non producono ancora anticorpi e nonostante questo potrebbero teoricamente infettare. Insomma, non possiamo vedere con precisione quanta gente infetta c'è oggi a Cagliari, in Sardegna e ovunque».

Dunque, se io prendo il virus oggi, per le prossime due settimane potrei risultare negativa al tampone, ai test sierologici ed essere comunque contagiosa...

«Sì, a un certo punto diventa infettiva ma potrebbe non risultare al tampone. Insomma, se io prendo 100 nuovi contagiati, il tampone positivo lo vedo su 20, 30. Mi sfuggono un certo numero di pazienti, e tra questi può esserci il tabaccaio, la signora da cui andiamo a comprare la verdura... Non avranno sintomi ma per quelle settimane potrebbero infettare».

I serbatoi dell'infezione sono gli asintomatici.

«Sì. Perciò non illudiamoci, non pensiamo di controllare l'infezione con il caldo. Il virus sta per alcune settimane dentro persone che non manifestano sintomi, queste ne infettano altre e così arriviamo fino a ottobre».

Quindi il virus d'estate viaggia nascosto fino a che, coi primi freddi, esplode l'epidemia.

«Esatto. Il punto è che non possiamo fare esami, dei quali conosciamo i limiti, a tutta la popolazione e dunque non sappiamo quante persone infette realmente ci sono. Potrebbe essere, lo spero, che perché magari il distanziamento e tutte le altre misure vengono osservate, il numero dei contagiati non raggiunga una massa critica tale da avere in autunno un'esplosione improvvisa della seconda ondata dell'epidemia. Ma, ripeto, non sappiamo quanti sono davvero i contagiati. Per questo una seconda ondata in autunno dev'essere presa in considerazione».

Ma a cosa serve allora fare i tamponi?

«Sono comunque utilissimi, soprattutto per testare le persone con rischio accertato di contagio. Detto questo, i metodi di profilassi veramente utili sono quelli antichi: mascherine, disinfettanti e distanziamento. Per ora non abbiamo altre armi».

Piera Serusi

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