Il sei dicembre scorso il Governo, su sollecitazione del deputato azzurro Ugo Cappellacci, che si è dimostrato soddisfatto, si è reso disponibile, mediante approvazione del relativo ordine del giorno, a valutare il riconoscimento della zona franca in Sardegna.

Eppure, solo qualche mese fa, il ministro Tria, interrogato dal deputato di FdI Salvatore Deidda in merito all’avvio proprio della zona franca in Sardegna, ha avuto modo di precisarne l’inattuabilità siccome "l’estensione della zona franca doganale a tutto il territorio della Sardegna renderebbe impossibile assicurare un controllo, da parte delle autorità doganali, adeguato al necessario rispetto della normativa UE che impone una stretta vigilanza sul perimetro e sui punti di entrata e di uscita delle zone franche, sull’ingresso delle persone e delle merci in entrata e uscita". Una pietra tombale sulle aspirazioni dei sardi.

Ma se così è, perché oggi il Governo giallo rosso, considerato pure che un ordine del giorno non si nega a nessuno, tendenzialmente meno favorevole, in termini di alleanze, rispetto a quello giallo verde, dovrebbe esprimersi diversamente? La Sardegna ha diritto alla zona franca integrale, a quella doganale, o peggio, a nessuna delle due? La zona franca, sia essa integrale o solo doganale, è davvero attuabile o è solo una dolorosa chimera sfruttata come cavallo di battaglia nelle competizioni elettorali? È vero che non esistono le basi giuridiche per una ipotetica estensione della zona franca integrale e/o doganale a tutta la Sardegna?

Le risposte, purtroppo per noi, potrebbero rivelarsi piuttosto deludenti. Intanto, perché l’articolo 349 TFUE precisa che solo nei confronti delle Regioni Ultra Periferiche, a rischio spopolamento e con situazione economica di sottosviluppo, nove in tutto tra cui le Azzorre, le Canarie e Madera ma non la Sardegna, di fatto mai riconosciuta come tale, possono essere adottate misure specifiche quali le politiche doganali e commerciali, zone franche, politiche in materia di agricoltura e di pesca, condizioni di fornitura delle materie prime e di beni di consumo primari, aiuti di Stato e condizioni di accesso ai fondi strutturali e ai programmi orizzontali dell’Unione, ossia misure fiscali di favore utili per consentire ai territori più deboli di equiparare la propria condizione a quella dei restanti territori dell’Unione.

Quindi, perché, per converso, la Dichiarazione relativa alle Regioni Insulari, fatta propria dal Consiglio Europeo, che, da una parte, suggella il riconoscimento, da parte degli Stati membri dell’Ue, degli svantaggi strutturali ostacolanti lo sviluppo economico e sociale delle Regioni Insulari e, dall’altra, prevede espressamente che le politiche comunitarie dovrebbero tener conto degli svantaggi ridetti, è rimasta allo stato di mero accordo di carattere politico, quindi non vincolante sul piano giuridico, sebbene "fonte di impegni di natura essenzialmente politica assunti dagli Stati membri" (da "Coesione e Insularità: dal Trattato di Amsterdam a quello di Lisbona" di Paolo Fois). Poi, perché, di conseguenza, è solo sul Consiglio Europeo, e non invece sulla Commissione Europea, che le Regioni Insulari, tra cui la Sardegna grazie alla Risoluzione Cicu del 2016, dovrebbero esercitare determinatamente le loro pressioni.

Inoltre, perché le zone franche, previste nel corpo dei regolamenti CEE n. 2913/1992 (Consiglio) e n. 2454/1993 (Commissione), non sono zone franche integrali quanto piuttosto solo quelle doganali, quindi come tali soggette alle disposizioni del Codice Doganale Comunitario, per tornare alle obiezioni di Tria, conseguendone che la possibile istituzione di una zona franca integrale non trova alcun riscontro né nello Statuto, il cui articolo 12 fa riferimento ai soli punti franchi, né nelle norme di attuazione.

Infine, perché sebbene in base al combinato disposto del D.Lgvo 75/98, della LR n. 10/2008, e dello stesso art. 12 dello Statuto, potremmo avere astrattamente diritto alla zona franca doganale, con abolizione dei dazi sulle merci "estero su estero" ma senza incidere in alcun modo sull’eventuale esenzione dall’Iva o dalle accise locali, tuttavia, la stessa, sembra essere rimasta incompiuta solo ed esclusivamente per fatto e colpa della Regione Sardegna, la quale avrebbe dovuto già da tempo, fin dal momento dell’entrata in vigore del nuovo codice doganale aggiornato, avere l’accortezza di indicare la delimitazione sul piano territoriale delle zone franche, la quale venne omessa poiché all’epoca, del tutto incautamente, si puntava a far dichiarare la Sardegna area esterna al territorio doganale della Comunità Europea.

Se, dunque, questo è lo stato dell’arte, se l'Isola non è qualificabile in termini di Regione Ultra Periferica, anche se spopolata e in regime di sottosviluppo economico e sociale, se neppure può godere, stando a quanto detto, dei vantaggi derivanti dall’eventuale riconoscimento dello status di zona franca doganale comunque inutile sul piano dell’esenzione dal versamento delle imposte locali, allora perché insistere sul punto? Solo per continuare a far apparire lo Stato Centrale e l’Europa come "madre di parto e di voler matrigna" scaricando ingiustamente sui medesimi le responsabilità del nostro governo locale e le inettitudini dello stesso?

Iniziamo a guardare in faccia la realtà: la Sardegna, fino ad oggi, è la Regione a Statuto Speciale che ha usufruito meno di questo rilevantissimo strumento pattizio con lo Stato e che, ancora oggi, più di ieri, sembra non saper proprio far funzionare. Sardegna Svegliati! È tempo di dire basta alle chimere perché i sardi meritano risposte e la politica, di conseguenza, per parafrasare una nota televendita, deve smetterla di vendere sogni, e iniziare a costruire solo solide realtà.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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