Venezia non è solo sommersa da un'onda di mare che entra dai canali scavati per il transito delle petroliere e delle grandi navi - scrive Antonio Scurati sul Corriere della Sera -, è sommersa anche da un'onda turistica e, soprattutto, da un'onda di malaffare, di cattiva amministrazione e cattiva coscienza. Nessuno degli amministratori che in questi giorni ha sfilato in stivali di gomma tra le calli di Venezia sommersa può dirsi estraneo al suo saccheggio".

Il presidente veneto, Luca Zaia, tirandosene fuori, si è chiesto nei giorni scorsi se i 5,5 miliardi di soldi già spesi nel sistema Mose non siano finiti anch'essi sott'acqua, come l'intero sistema di difesa dall'alta marea. Dopo il picco di 1,87 metri di "acqua granda" raggiunti il 12 novembre, le battute dei "sotoporteghi" sul cantiere infinito e mangiasoldi si sprecano: «L'unica cosa che manca al Mose per fermare le acque è l'accento sulla e», è solo una delle ultime riportate dai giornali.

Eppure, Zaia, già vicepresidente della Regione Veneto con Giancarlo Galan, condannato per corruzione a due anni e dieci mesi di reclusione proprio nell'ambito di un processo relativo ai finanziamenti illeciti legati agli appalti Mose, in passato aveva fatto numerose dichiarazioni su come funzionasse bene quel sistema, che per Venezia, diceva, fosse una grande opportunità. Se oggi il Mose, come dice Zaia, è uno scandalo nazionale, la colpa è anche dei politici di questa Regione, che prendevano le bustarelle dal Consorzio Venezia Nuova incaricato della realizzazione del progetto.

Fu proprio per porre rimedio allo scandalo che lo Stato decise di commissariare l'opera.

Che cosa non funziona nel sistema Mose? L'allarme era stato dato l'anno scorso dai collaudatori: non funziona il sistema delle cerniere che ancorano le barriere mobili al fondo del mare. «Le cerniere sono l'oggetto in assoluto più importante del Mose», ha sostenuto il docente di impiantistica dell'Università di Padova, Lorenzo Fellin, al processo nell'aprile 2017 per le tangenti sui cassoni, aggiungendo che «se fallisce quello, fallisce il progetto». Ebbene, la scelta di quelle cerniere era stata cambiata in corso d'opera non per motivazioni tecniche, ma politiche, sembrerebbe per favorire proprio un'azienda del Consorzio Venezia Nuova. Ma come, con tutti quei soldi in ballo venivano prima gli interessi di bottega? «Sì» ha risposto senza esitazione il professor Fellin.

Sulla vicenda, la procura della Corte dei Conti ha recentemente aperto un'inchiesta per capire se i materiali utilizzati siano conformi a quelli del progetto e se davvero ci sarà la necessità di cambiarli. Non si tratta di elementi secondari: le cerniere sono infatti il cuore tecnologico delle barriere mobili per la difesa dalle acque alte, perciò «è indispensabile e urgente intervenire per contrastare il deterioramento dei gruppi di aggancio delle paratie», hanno scritto i presidenti delle commissioni di collaudo al Provveditorato alle acque.

Dopo il picco di alta marea del 12 novembre, il sistema Mose è sotto accusa: perché, si chiedono in molti, a partire dal sindaco di Chioggia, il sistema delle paratie non è stato inaugurato anche se solo parzialmente? Forse avrebbe potuto contenere l'ondata di piena, limitando i danni. Tuttavia, i due Commissari incaricati di sovraintendere al Mose, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, non se ne sono assunti la responsabilità e quindi non hanno acconsentito alla prova. Per assumersi la responsabilità di un collaudo in condizioni di emergenza, hanno chiesto che fosse qualcun altro, come il prefetto, a dare l'ordine. Di fatto, nessuno si assume la responsabilità di un collaudo al buio, dalle conseguenze imprevedibili. Perciò si fa strada un dubbio angosciante: e se nessuno si volesse assumere la responsabilità di collaudare un sistema di paratie di cui non c'è la certezza assoluta che possa funzionare? Il problema è ancora più generale: non sarà che sia l'intero sistema degli appalti il mostro burocratico che non funziona e che sia tutto da rivedere?

Beniamino Moro

(Università di Cagliari)
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