Non è facile prevedere cosa ci riserveranno le prossime elezioni regionali. Non tanto per chi ne risulterà vincitore, ma su quali progetti ed impegni potremo contare per dare un'efficace riscossa ad un'economia che langue. Perché di questo la Sardegna ha urgente necessità. Da ogni parte politica in competizione si proclama che sarà proprio il lavoro che manca l'obiettivo primo del programma di governo, in modo da riuscire a ridurre il peso insostenibile della disoccupazione-inoccupazione che opprime la nostra gente. Ed è certamente un impegno da sottoscrivere appieno, in quanto una percentuale a due cifre e prossima alle due decine per i senza lavoro, va ritenuta una ferita sociale letale.

C'è però da mettere in chiaro che il lavoro, la nascita di posti di lavoro, non è altro che il punto terminale di un processo - si potrebbe dire: di una filiera - che ha in testa l'attività economica che lo dovrà avviare. E se stenta, o è deficitaria ed in crisi quella testa, anche la quantità dei posti di lavoro continuerà a soffrirne. Perché il creare nuova occupazione è in diretta dipendenza dalla capacità di crescita delle attività produttive. Ancora: perché il lavoro, come spiega un aforisma, è come il pesce: per poterlo portare in tavola occorre che si abbia la canna per pescarlo (cioè l'impresa).

D'altra parte, quando si parla di lavoro occorrerebbe uscire fuori dalla genericità degli slogan, perché c'è lavoro e lavoro, quello sui campi o in fabbrica o in cantiere, in negozio o in ufficio o da prestatore di servizi, ed ancora quello nel settore privato o in quello pubblico.

Ne discende quindi la necessità che vadano predisposte delle idonee politiche di sviluppo, cioè delle scelte operative mirate, per rilanciare l'agricoltura, l'industria, i servizi e il pubblico impiego. In modo da poter venire incontro alle troppe migliaia di sardi tuttora disoccupati.

Il problema principale è dunque quello di aumentare il valore delle produzioni isolane che da una ventina d'anni sono ferme o in sensibile regresso: meno 2,8% in agricoltura e addirittura meno 27,3% nell'industria. Con il conseguente salasso di posti di lavoro: rispettivamente 10 mila e 22 mila.

Sono dati che indicano chiaramente dove e come dover intervenire. L'industria è certamente il primo dei settori da rilanciare. Vi è infatti da tener presente che sarebbero una trentina le fabbriche sarde "desaparecidas" nello stesso periodo, senza che ci sia stata, da parte della politica, un'attenta valutazione delle cause che ne avrebbero causato la chiusura. Che sarebbero diverse, in aggiunta alle fragilità ed all'imprevidenza attribuibili agli imprenditori.

Innanzitutto va considerata la tagliola degli alti costi, formata da "energia-credito-trasporti", che penalizza pesantemente le produzioni sarde rispetto alle omologhe continentali. Ed in più le diseconomie locali, derivanti da un territorio che risulta in gran parte disattrezzato per delle attività industriali innovative e concorrenziali. Si tratta, a ben vedere, di un insieme di armamentari di sistema, esterni alla fabbrica, e, quindi, di pertinenza delle istituzioni pubbliche. E quindi, avendone competenza statutaria, della Regione sarda.

Per la verità, in passato se ne era creato un insieme positivo (con l'Ensae, il Cis, i traghetti FF.SS, le Zir, ecc.), abbandonato poi da una sventagliata di soppressioni malpensate, per cui attualmente le nostre fabbriche soffrono di una scoraggiante solitudine e con l'handicap di dover affrontare un conto di diseconomie ambientali assai salato. Produrre in Sardegna una pentola d'alluminio, ad esempio, oggi costerebbe il 15-18% in più che nel bresciano o nelle Marche.

Purtroppo, da diverso tempo a questa parte, la Regione non ha più messo in campo, per debolezza o per ignavia, una sua efficace e decisa politica industriale, che fosse di indirizzo e di sostegno alle imprese, abbandonandole così al loro triste destino, fatto di mille difficoltà, di continui ostacoli e di pesanti penalizzazioni.

Si è quindi dell'avviso che proprio dal varo di un insieme di nuovi indirizzi di sostegno e di rilancio all'industria che si dovrebbe partire con il post elezioni, per far sì che il settore delle fabbriche ritorni ad essere centrale nell'isola, dando così, finalmente, un deciso incremento all'occupazione. Perché questa manovra - intendiamoci - va intesa come la vera ed unica politica per il lavoro, per creare lavoro.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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