Nello Stato moderno la frequenza proficua della scuola per un certo numero di anni è ritenuta requisito indispensabile per l'acquisizione delle conoscenze necessarie al cittadino per partecipare alla vita della società.

Un diritto e un dovere, la cui inadempienza configura un danno per la persona e per la comunità e dà luogo al fenomeno della dispersione scolastica, assai rilevante nella nostra Isola e nel Mezzogiorno d'Italia.

Da anni se ne studiano le cause e si propongono rimedi volti a limitarlo, ma con scarsi risultati. Qualche riflessione al riguardo.

Non è agevole ricostruire con precisione i tempi lontani in cui l'uomo ha cominciato ad avere consapevolezza di vivere esperienze di insegnamento e apprendimento. È tuttavia certo che ad avviarle è stata una condizione esistenziale governata dal bisogno di sopravvivere, anche affidandosi alla trasmissione di certe abilità alle nuove generazioni. Ed è difficile immaginare che nelle fasi iniziali del suo cammino l'umanità vivesse esperienze di "dispersione apprenditiva", cioè a dire di evasione dalla incombenza, fortemente necessitata e coincidente con la stessa vita, di insegnare o apprendere a procurarsi il cibo e a difendersi dalle belve, dalle intemperie e dal vicino ostile. La dura legge del bisogno imponeva le condotte nel fare e nel non fare.

Nel corso del tempo tante cose sono poi mutate nella vita dell'umanità, tranne una, la presenza in essa, con immutata intensità, della percezione del bisogno, fonte inesauribile dei desideri e delle aspirazioni di ciascuno.

Ciò vale anche per gli allievi delle nostre scuole, senza escludere i dispersi, gli inadempienti all'obbligo scolastico. Il giorno in cui l'adolescente poco motivato allo studio vedesse nell'apprendimento scolastico uno strumento utile per soddisfare il suo bisogno di crescere, di affermarsi, di realizzare un progetto di vita, forse non abbandonerebbe la scuola, non rinuncerebbe alle sue offerte di istruzione.

La legge affida al sistema scolastico il compito di assicurare agli allievi il successo formativo. Ma questo, che per il sistema è il fine che ne giustifica l'esistenza, non è tale per l'allievo. Per lui è solo il traguardo intermedio di un percorso ancora da definire nei suoi approdi e nelle difficoltà dell'incerto cammino. Intermedio e anche strumentale.

A che gli serve il successo formativo? Se non gli è utile per soddisfare i suoi bisogni vitali, proseguire gli studi, entrare nel mondo del lavoro e poi farsi una famiglia, o altro ancora, la scuola si carica di valenze negative, e lo studente l'abbandona o smette di studiare. Forse alla radice della dispersione c'è l'intuizione, magari ancor vaga, che per inserirsi nel mondo del lavoro e nella società le conoscenze scolastiche non bastano, servono concrete prospettive di vita corroborate dalla fondata speranza ch'esse si realizzino, condizione alla portata di pochi. Conseguito il successo formativo, quando la vita presenta le sue sfide, il giovane, disarmato e a mani nude, ha bisogno di una società bene ordinata in cui sia possibile a tutti utilizzarlo secondo regole certe fondate sul merito.

Forse la dispersione scolastica si può combattere anche così, traendo dalle prospettive del futuro, che non possono mancare, le ragioni da offrire ai giovani per accettare i sacrifici del presente. Mai dimenticare che l'uomo è un intero, e così anche il fanciullo, il ragazzo, il giovane, e che ciò che precede condiziona ciò che segue, e la prospettiva del futuro retroagisce sul presente.

Gabriele Uras

(Gà dirigente del Miur )
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