Q ual è il danno della chiusura delle scuole? Da una parte, c'è il lavoro dei genitori. Essere costretti a tenere i figli a casa, quando per giunta non è possibile affidarli ai nonni (come, con mossa col senno di poi disastrosa, si raccomandò quando le scuole vennero chiuse per la prima volta), significa che la mamma o il papà debbono astenersi dal lavoro oppure ripensare in profondità i propri impegni. C'è dunque, sin da principio, un effetto negativo sulle attività economiche. Ma, dall'altra, e quel che più conta, c'è l'apprendimento degli studenti.

La pandemia ci ha fatto conoscere nuove opportunità, come la didattica a distanza. È possibile che un giorno ci accorgeremo che alcuni insegnamenti e alcune materie funzionano meglio in questa modalità. È il caso di alcuni corsi universitari, fortemente professionalizzanti, del tipo in cui lo studente deve “fare” per imparare. Ma in molti altri casi la didattica a distanza è un ben misero sostituto di quella in presenza. È vero all'università, che è un'esperienza prima ancora che un insieme di corsi somministrati agli studenti. È vero a maggior ragione quanto più i ragazzi sono giovani. Fare lezione in aula, alle scuole elementari, non è solo una faccenda di socializzazione: è anche la situazione migliore, fra quelle che conosciamo almeno, per trasferire conoscenza ai bambini, per parlarci, intercettare dubbi e perplessità, correggerli, capire dove e come aiutarli per fissare nella memoria concetti che dovranno accompagnarli per il resto della loro vita.

S tare a casa va benissimo, forse anche meglio, per tutti coloro che hanno genitori fortemente interessati alla loro istruzione con tempo a disposizione e una biblioteca ben fornita. Ma per i ragazzi che vivono in situazione ben diversa significa verosimilmente rimanere indietro, non avere occasione di imparare ciò che dovrebbero.

L'istruzione è un ambito nel quale un certo grado di conservatorismo è semplicemente prudenza. Andava molto di moda, negli anni scorsi, esprimere una certa perplessità rispetto alla lezione frontale di per sé; rivendicare modalità di insegnamento più “orizzontali”. Eliminata la fisicità dell'insegnamento e messi finalmente tutti sullo stesso piano, dietro uno schermo docenti e discenti, a che cosa siamo tornati? A una versione, riveduta e corretta con l'ausilio delle tecnologie, della lezione frontale. Ma se siete, tristemente, nella condizione di essere da soli e da soli dover imparare qualcosa, il libro tutt'oggi è la tecnologia migliore che c'è: forse proprio per questo sopravvive da secoli.

Cercare di preservare la didattica in presenza, come vuole tutta la filiera dell'istruzione a partire dai ministri Azzolina e Manfredi, non è quindi un capriccio della cricca dei professori. È la strada più sicura per evitare che l'impatto del Covid-19, per tutta una generazione, sia un arretramento dei livelli di apprendimento.

Certamente tenere aperte le scuole non è facile. Servirebbero cose che il governo non fa o non sta spingendo le singole strutture a fare: per esempio test antigenici (quelli rapidi, che danno il responso in una ventina di minuti) per studenti e docenti, a scadenze regolari. Sarebbe servito un ripensamento degli orari, che purtroppo è stato un'iniziativa estemporanea solo di alcune realtà, per evitare il congestionamento dei mezzi pubblici. Sarebbe servito porsi per tempo (non oggi!) il problema del trasporto pubblico locale, cercando di rimettere in pista mezzi anche vecchi e di coinvolgere le imprese private del trasporto, alle quali si poteva pagare un servizio e non la cassa integrazione. Sarebbe servito riflettere su una differenziazione puntuale fra didattica in classe e didattica a distanza, basata anche su elementi di buon senso: un insegnante che segue poche classi è diverso, dal punto di vista del rischio di contagio, da uno che fa un'ora di lezione a settimana in tutte le sezioni. Meglio sarebbe stato fare svolgere didattica a distanza a quest'ultimo. Sarebbe stato importante ristrutturare profondamente il calendario didattico: dal momento che operiamo in condizioni di grande incertezza, dobbiamo concentrarci per far sì che i ragazzi non perdano materie e nozioni di base (per esempio, italiano e matematica) e quelle andavano concentrate nei primi mesi. La storia dell'arte o l'educazione fisica, pure importantissime, potevano essere lasciate al post-pandemia. Ma non lo si è potuto fare per la prevedibile reazione dei sindacati.

Non è stato sbagliato riaprire: è stato sbagliato riaprire pensando di andare avanti esattamente come prima, banchi a rotelle a parte. Non è sbagliato fare di tutto per cercare di stare aperti. Con la crescita dei contagi e, quindi, purtroppo anche dei decessi, la paura si impossessa del dibattito pubblico e lascia immaginare che nient'altro conti che l'epidemia. Provare a rimetterla sotto controllo è importantissimo ma ha costi elevati. Il costo di una generazione che arranca per conquistarsi nozioni e conoscenze di base è particolarmente alto.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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