C ari lettori, scusate, ma c'è coprifuoco e coprifuoco. Il vostro cronista ha il taccuino squadernato in America, finora ho toccato il distretto di Columbia e Miami, in Florida. Sulle tracce di Donald Trump e dei suoi “Make America Great Again” rally. Poi toccherà al Tennessee, Nashville, teatro del secondo dibattito presidenziale tra Trump e Joe Biden (la settimana prossima) e poi ancora si vola a Washington e infine da Capitol Hill siamo pronti a tutto l'imprevisto che può portare questa pazza corsa di dragster, il voto del coronavirus, la partita della Casa Bianca, il destino della nazione più potente del mondo, il cuore della civiltà liberale e il duello del Pacifico con la Cina. È la grande storia che ti scorre davanti, s'impregna sulle tue pagine d'inchiostro, un privilegio vederla e raccontarla.

Locali chiusi dalle 22 in Italia? Vedremo, qui a Miami ogni notte c'è il “curfew”, il coprifuoco, da mezzanotte, ieri sera me lo sono fatto raccontare da due poliziotti a bordo di una di quelle moto fiammanti, amerikane, da duna sabbiosa, gentilissimi, bilingue (inglese e spagnolo), nessun tono marziale, ma a disposizione di chi vuol capire. Scoccata l'ora, si è accesa la moto e uno di loro ha cominciato - senza strepiti - ad avvisare il popolo di Ocean Drive, il cuore pulsante di Miami Beach, che la festa era finita. Tutto tranquillo, il business va avanti, la vita non si interrompe, si cerca di (con)vivere con il coronavirus.

N essun clima negativo, tutti sono estremamente gentili, collaborativi, la mascherina c'è quando serve, il distanziamento è praticato più di quanto raccontino le cronache a una dimensione del mainstream media. La battaglia tra Trump e Biden è su questo punto, sul modo in cui l'America si ripensa nell'era del coronavirus. Chiudere o aprire, morire o vivere.

L'ombra sul voto è il “virus cinese” (conio di Donald Trump), la battaglia tra l'imperatore Xi Jinping e il presidente fuori dagli schemi dell'establishment, Donald Trump, un non casuale incidente della storia. La Cina è l'unica economia che secondo i dati del fondo monetario internazionale pubblicati l'altro ieri sarà in positivo sull'anno, altri arrancano, l'Europa e in condizioni più che preoccupanti, gli Stati Uniti sono dilaniati da una gigantesca lotta interna e da una corsa presidenziale mai vista.

Da qui, quello che accade in Italia appare surreale. Perché in America il tema non è chiudere, ma aprire, perfino tra i dem che della mascherina hanno fatto il loro marchio elettorale. Si parla sui giornali del “disastro americano” ma si dimentica il dettaglio di una nazione con 50 Stati e 330 milioni di abitanti, tutta la narrazione del coronavirus è raccontata da un solo punto di vista, si dimenticano sempre le conseguenze economiche che sono altrettante minacce biologiche, colpiscono l'aspettativa di vita, di fame si muore. La nostra risposta oscilla tra il chiudiamo tutto (per paura di non poter fare niente) e il laissez-faire e tanto poi qualcosa accadrà. Un dibattito moderato, intelligente, libero da scorie ideologiche (compresa quella nuova dell'estremismo igienista) sembra impossibile. Chi espone qualche dubbio sulla strategia del lockdown, sul prezzo che si è già pagato in termini di reddito e aspettativa di vita (non si pensa al semplice e inesorabile fatto che la povertà uccide e l'accantonamento dell'urgenza per la cura delle altre patologie accelera la morte di migliaia di persone), viene bollato come “negazionista”, nuova parola magica usata per distruggere l'avversario quando non si hanno argomenti validi per proporre soluzioni e non dogmi.

Come abbiamo scritto fin dall'inizio di questa storia, la segregazione alla cinese in un sistema liberale è praticamente impossibile. Circolano le idee, circolano le persone, circolano le merci, circola il virus. Il lockdown estremo distrugge la circolazione delle idee (perché ne impone una che non è detto sia quella giusta in un dato contesto - l'abbiamo visto), blocca le persone, ferma il commercio, non elimina il coronavirus. E abbiamo la prova materiale di quel che scriviamo, il caso italiano: abbiamo fatto il lockdown più duro dopo la Cina, l'economia è collassata (peggior dato sulla produzione dopo la Spagna e ripresa nel 2021 più lenta rispetto agli iberici), il virus è tornato, per la semplice ragione che non se ne è mai andato. Abbiamo buttato 7 mesi, potevamo prepararci al meglio, invece mentre il governo decantava “il modello Italia” - che naturalmente non c'era, perché si trattava solo di una diversa curva temporale della seconda ondata - si preparava lo scenario di un'altra crisi. Pessima situazione perché la prima volta c'è un problema incognito, ma qui siamo alla seconda volta e tutti gli alibi sono caduti. Cosa accadrà? Lo vedremo, l'Italia è solo un passaggio di una storia immensa, siamo dentro il grande romanzo di America 2020, questa è Miami, è l'ora di un “Old School Cuba Libre”.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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