S i parla di seconda ondata ma in realtà siamo dentro una storia unica, un grande romanzo che ha il respiro di Hugo, la potenza di Tolstoj, la speranza di Manzoni, la polvere di Steinbeck, la tensione di Poe, la notte di Shakespeare e il giorno di Goethe.

È il racconto del coronavirus, il suo disordine e nuovo ordine. All'inizio della pandemia, dalla penna colò un fatto che mi pareva allora ineludibile: non è la fine del mondo, ma cambierà il mondo. Così è stato. La nostra vita quotidiana è stata rivoluzionata, poche cose sono rimaste intatte all'impatto con questo agente infinitamente piccolo. Il virus ha cambiato il mondo globalizzato e connesso. Check in, welcome on board, allacciate le cinture. Siamo ancora in volo e la pista d'atterraggio qui per ora non si vede.

Sono stati compiuti molti errori, gli scenari politici sono stati alterati, dove le istituzioni sono deboli e mal disegnate, il sistema di “check and balance” della democrazia è saltato, l'economia è piombata in una crisi profondissima, gli stili di consumo sono mutati in maniera radicale, la disoccupazione galoppa come la cavalleria corazzata, il rapporto tra governo centrale e Regioni è cambiato, spesso in favore di localismi contrapposti, altre volte (è il caso della Sardegna, un'isola che non ha mai goduto di vera autonomia) il centro ha esercitato un potere dispotico (ogni potere tende a diventarlo se non incontra una barriera) sulla periferia con conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

P er noi sardi è una lezione di cui fare tesoro, dobbiamo imparare a governarci da soli e insieme agli altri. Nella comunità e nella nazione. Da soli perché l'isola è nostra e di nessun altro, insieme perché “Forza Paris” è nel nostro sangue. Siamo sardi, italiani, europei e cittadini del mondo. Eravamo poveri, ma in pace e in salute, i nostri paesi in questi giorni vivono l'angoscia del contagio che prima non c'era: dobbiamo ritrovare la nostra dimensione e ricostruire ciò che è stato distrutto.

Sono state alimentate paure e illusioni. Un agente sconosciuto (ma non imprevedibile, fior di studi e libri, fiction letteraria e cinema avevano anticipato il suo arrivo, consiglio la visione del film “Contagion” e la lettura di “Pandemia” di Lawrence Wright) è penetrato nel nostro sistema di vita e lo ha scardinato. Dopo otto mesi di crisi dichiarata (il virus è stato segnalato ufficialmente dalla Cina all'Oms il 31 dicembre, ma circolava già da alcune settimane, e il ritardo di Pechino nella diffusione di notizie vitali è un dato certo e documentato) abbiamo imparato molte cose, eppure sembra di assistere a un dejà-vu e a un dibattito surreale per la ripetizione di parole e situazioni.

Così all'aumento dei contagi (5724 casi positivi e record di tamponi) riecco il mantra dei mesi scorsi, la minaccia del lockdown, la comparsa sulle prime pagine dei giornali di una parola pessima per una democrazia, “coprifuoco”, i conflitti tra governo centrale e locale, ri-pensamenti su norme approvate poche settimane fa. Si chiedono ai cittadini sacrifici (che si faranno) ma le istituzioni peccano di scarsa umiltà, dovrebbero ammettere di aver sbagliato: un lockdown senza criterio (bastavano quelli locali), un'eruzione di norme folli dettate dal paraculismo giuridico (l'importante è scaricare il barile della responsabilità su qualcun altro), il collasso economico (figlio della chiusura totale del Paese), il sistema di test, tracciamento e trattamento così fragile da essere di nuovo in crisi, nessun programma educativo per la popolazione che è passata dal lockdown alla cinese, alla riapertura all'italiana e ora di nuovo alla minaccia della chiusura. Non è un'impresa facile, tutti hanno commesso gravi errori, ma una settimana fa il governo si vantava del “modello Italia” e ora quelle parole sono evaporate perché la storia è opposta. Bastava dare un'occhiata alla parabola del coronavirus - vedere la Spagna e la Francia - per capire che da noi la curva era solo in ritardo ma in inesorabile arrivo.

Così quello che non era considerato necessario ieri (la mascherina all'aperto) diventa obbligatorio oggi (indossatela). Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione non è eccellente e l'unico Mao in circolazione si chiama Xi Jinping, governa con il pugno di ferro la Cina dove di coronavirus non si parla più e si è appena conclusa la “settimana d'oro”, (Huángjin Zhou), otto giorni di ferie per tutti, boom di viaggi e acquisti. Mentre la Cina festeggia, l'America vive un momento incredibile, la campagna presidenziale è sconvolta, Donald Trump è stato contagiato dal Covid-19, tenta un miracoloso recupero su Joe Biden, si vota il 3 novembre. Il vostro cronista sta preparando la valigia e un paio di nuovi taccuini per raccontare dalla prossima settimana il gran finale del romanzo americano.

Quando la polvere si sarà posata, forse avremo una realtà storica divergente dalla cronaca. La pazienza, il tempo, lo scorrere dei giorni, l'accumulazione dei fatti, l'esperienza diretta, sono elementi fondamentali, nel mestiere di scrivere fanno la differenza. Attendiamo pazienti sulla riva del fiume con il taccuino squadernato la fine di questa storia, perché una fine ci sarà. Ci vediamo in America.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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