Q ual è e quale sarà il costo sociale per gli inutili vincoli nei cantieri del Porto canale di Cagliari e della quattro corsie tra Sassari e Alghero? Il Consiglio dei ministri, senza invocare Dpcm in nome del Covid, semplicemente come un cane che si morde la coda, ha appena smentito se stesso. Scusate, era stato un errore “ministeriale” congelare i lavori al terminal container di Macchiareddu. Così come far morire in campagna la statale per la città catalana. Lo scrive, in due distinti provvedimenti, il premier Giuseppe Conte. Rilanciamo. Chi pagherà e quanto per aver messo un freno allo sviluppo? Chi dovrà rispondere dei blackout di Stato? Non lo sapremo mai, lassù non risponderà nessuno.

Ma non dobbiamo dimenticare. Partiamo dal Porto canale. Nell'anno del Signore 1981 la Sovrintendenza concesse l'autorizzazione paesaggistica per realizzare il terminal industriale di Cagliari. Concessione annullata nel 2000 dal Consiglio di Stato, ma con il porto ormai in piena operatività. E così quando l'anno scorso i funzionari dei Beni culturali hanno bloccato un piano da 130 miliardi, la politica è rimasta spiazzata. Ma come, non è materia burocratica da babbo morto? Quando mai: i nostri funzionari scrivono che la legge Galasso (1985) e il Ppr di Soru (2006) impediscono il via libera per qualsiasi intervento. Risultato: anche piantare un chiodo sarebbe un abuso edilizio. Figuriamoci montare enormi gru per il trasbordo dalle portacontainer di nuova generazione.

N el deserto dei tartari di Macchiareddu, già tradito per Livorno dai tedeschi di Hapag-Lloyd (gente che nel mondo muove decine di milioni di contenitori), crescono le ragnatele, con buona pace per il reddito di settecento famiglie sarde. Poi a fine luglio arriva il Governo Conte che, senza invocare l'emergenza-Covid, rigetta l'opposizione presentata un anno fa dal ministro dei Beni culturali. E sentenzia: fate pure i lavori al Porto canale. Chi si accolla i costi sociali per il blocco non dovuto? A dire il vero, il dirigente del Mibac che stoppò il piano da 130 milioni mise le mani avanti con un comunicato, facendo notare come sarebbe “strumentale” addebitare alla Sovrintendenza di Cagliari la crisi del terminal. Al di là della forma anomala (il burocrate che fa la predica in pubblico al politico), la sostanza c'è tutta: la crisi sulle banchine dell'ex Casic viene da lontano, per responsabilità di impresa ma soprattutto politica.

Ecco perché hanno fatto (sor)ridere i toni trionfalistici di molti dopo la firma di Conte. Dal carro (dei vincitori?) si levano sussurri e grida anche di chi, negli anni, ha accompagnato con distacco (o incapacità?) il declino di «un'opera strategica», «al centro del Mediterraneo», «capace di trasformare l'economia sarda anche grazie alla zona franca doganale». Sapete come è andata: fiumi di parole. E anche in questo caso, chi paga? A proposito, dalla decisione del Consiglio dei ministri sono trascorsi dieci giorni. A parte gli immediati comunicati stampa dai toni entusiastici, un po' come se avessimo vinto un altro scudetto senza nemmeno aver ancora allestito la squadra, si sta lavorando per mettere in discesa i lavori? Quanto ci vorrà per appaltarli? E per farli partire? E per completarli? E nella rotta del transhipment - Far East, Stati Uniti, Europa - chi si sta occupando di trovare partner affidabili per Cagliari?

Sulla Sassari-Alghero il discorso è analogo. Se al Porto canale non ci sono navi all'orizzonte, nella Nurra non siamo all'ultimo miglio. Non è mica finita la trafila. Un sottosegretario di Stato l'altro giorno ha spiegato che, caduti i vincoli, ora serve un «percorso giuridico» per accelerare. Tradotto, significa poteri speciali (come per il ponte Morandi di Genova) per evitare di finire dritti, di nuovo, nelle braccia della burocrazia. Ci piacerebbe tanto essere ottimisti, ma in un Grande (?) Paese in cui l'obiettivo principale è abbattere il lavoro dell'avversario (pensate, alle nostre latitudini, a cosa è successo con la sanità negli ultimi dieci anni), è come illudersi di avere fresco oggi a mezzogiorno in via Roma. A proposito, chi paga? Noi, ovviamente.

EMANUELE DESSÌ
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