L a pandemia sembra finalmente superata e gradualmente torniamo alla normalità. Ma i danni sono ingenti, molti ancora da conteggiare. In questa vicenda hanno perso tutti: cittadini, famiglie, imprese. Forse solo la scienza, pur divisa su tutto e fra tante polemiche anche mediatiche, parrebbe uscirne “vincitrice”, avendo convinto tutti che senza di essa non c'è futuro. Il dato non è banale.

N ell'antichità le pandemie erano infatti un flagello divino, un fatto di natura contro il quale si poteva solo pregare. Oggi, con chiese, sinagoghe, moschee chiuse, la speranza è stata riposta nella scienza, dalla quale si attendono risposte concrete. Nessuno dubita infatti che arriverà un vaccino; al massimo ci si chiede quanto tempo impiegherà. Pure la politica, consapevole dei propri evidenti limiti, cerca opportunisticamente di delegare decisioni cruciali (con rischi e responsabilità connesse) agli scienziati.

E almeno la scienza sfata alcuni falsi miti, come la semplificazione sovranista delle porte chiuse. Il boom di contagi in Brasile è difatti eloquente. Noi stessi, un domani, saremo nuovamente a rischio. Basterà un turista infetto e sarà tutto da rifare. Del resto sono anni che gli scienziati ce lo dicono. Le politiche predatorie, sperequate ed inquinanti dei Paesi del terzo mondo sono affare anche nostro. Dopo poco i danni prodotti bussano da noi. Per cui, c'è poco da fare: dinanzi a fenomeni planetari, siamo tutti cittadini globali.

Ma la scienza dove alberga? In Europa (più che altrove) all'interno delle Università. E l'Università è pronta a raccogliere queste grandi sfide globali? La Commissione UE ci invita, da anni, a investire in formazione, ricerca e innovazione. Nel summit di Goteborg del 2017, tutti i leaders hanno rilanciato lo spazio europeo dell'istruzione superiore (di cui al Processo di Bologna), consapevoli che nel 2025 almeno la metà delle posizioni lavorative richiederà competenze tecnologiche elevate. Si è così dato vita al progetto Civis, con il finanziamento di alcuni atenei europei fortemente internazionalizzati. Tra le priorità individuate: informatizzazione dei processi, internazionalizzazione dei percorsi (compresa la conoscenza linguistica), approccio interdisciplinare alla ricerca e alla didattica, rapporto virtuoso tra Università e industria, formazione permanente. Anche la programmazione strategica è essenziale, per scegliere i settori ove investire maggiormente; ancor più per gli Atenei periferici, impegnati a colmare il gap territoriale.

E noi, abbiamo recepito il messaggio? Oppure preferiamo rassegnarci all'ordinaria amministrazione e dividerci stanze e spiccioli, piuttosto che meriti e progetti? Insomma, la pandemia offre a scienza e università un ruolo centrale nell'evoluzione della nostra società. È un'occasione irripetibile: dimostrare di meritarselo. «Chi non può quel che vuol, quel che può voglia», diceva Leonardo. L'Università ha uomini e mezzi all'altezza della sfida, vogliamola cogliere appieno.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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