A cosa serve il lockdown, l'isolamento delle persone durante un'epidemia? A rallentare il contagio “comprando” tempo. Uso la metafora dell'acquisto non a caso, ogni giorno di blocco dell'attività economica ha un costo esorbitante (mezzo punto di Pil la settimana) e dopo quasi due mesi abbiamo scoperto che l'Italia ha il fiato corto. Andare oltre non è possibile per ragioni evidenti: il collasso economico è profondo, il disagio psicologico sta galoppando.

Siamo di fronte a un gigantesco giro di boa della storia. Branko Milanovic, economista di Harvard che ha studiato in profondità il tema della diseguaglianza, su “Foreign Affairs” ha scritto che il reale pericolo della pandemia è il collasso sociale. La globalizzazione così come l'abbiamo conosciuta fino a ieri è finita. Nei discorsi dei due più importanti leader europei è comparso il tema del rientro in Europa e in patria di produzioni che erano state delocalizzate, ne ha parlato prima Emmanuel Macron nel suo messaggio alla nazione e poi Angela Merkel nel discorso dell'altro ieri al Bundestag, il parlamento tedesco. Sono tornati gli Stati, la Germania ha messo in campo un piano da 1100 miliardi di euro.

G li Stati Uniti sono a oltre 3 mila miliardi di dollari, il Giappone ha un piano monstre da 108 trilioni di yen, circa 900 miliardi di dollari. Sono interventi mai visti prima nella storia della politica economica. Per sostenerli ci vogliono spalle larghe e grandi polmoni. La crisi se ne andrà, ripartiranno a razzo i Paesi con gli investimenti migliori, quelli più forti e veloci.

E in Italia come siamo messi? Abbiamo scoperto di essere una potenza industriale (la seconda manifattura d'Europa e la terza economia) con il fiato corto, un debito troppo alto e una produzione debole. Abbiamo anche avuto l'ulteriore prova di una classe politica non all'altezza del nome e del fatto, la storia chiama, nessuno risponde.

Cosa è stato fatto finora per arrivare alla Fase 2 in maniera ordinata, razionale, efficace, sicura? Poco, siamo in grave ritardo rispetto ai tempi scanditi dal coronavirus. I messaggi che sono arrivati dal governo sono contraddittori. Pressati dallo tsunami economico in arrivo a Palazzo Chigi sono passati dalla fase del virologo a quella del manager. Con tutto il rispetto, il casino è sempre lo stesso. L'arte della politica è quella di bilanciare gli interessi legittimi, decidere nell'interesse generale. Siamo stati i primi in Occidente ad affrontare (male) il contagio, ora rischiamo di essere gli ultimi a riaprire. Abbiamo sprecato il tempo del lockdown. Perché la riapertura non si fa con un “pronti via, tutti fuori”, il coronavirus impone una riorganizzazione della nostra vita sociale. Molte cose che prima facevano parte della quotidianità, non ci saranno più.

La crisi è come sempre anche un'occasione. Fin dall'etimologia, la parola di origine greca significa scelta, decisione, giudizio. Per la Sardegna ci sono grandi pericoli e splendide opportunità. I pericoli sono quelli della disconnessione, della povertà, della scarsa iniziativa, della tentazione del sussidio da “indivanados”. Vedo con grande preoccupazione per la mia terra che a Cagliari la Caritas ha già assistito 1700 famiglie, nuovi poveri. Ce ne saranno altri. Per evitare la catastrofe occorrono coraggio, fantasia, cultura del fare. Bisogna ricordare sempre che la storia ha il dritto e il rovescio. Lo shock del coronavirus ha messo in crisi il modello di vita che tende(va) a concentrare la popolazione nelle aree più urbanizzate del pianeta, il coronavirus ha mostrato la debolezza delle megalopoli, un letale veicolo di infezione con i loro trasporti pubblici ramificati, i giganteschi condomini, l'incubo ad aria condizionata, avrebbe scritto Henry Miller. Quel mondo è al tramonto. Chi desidera salute, lavoro, equilibrio, andrà a cercare un nuovo inizio altrove. Le economie avanzate investiranno migliaia di miliardi nello sviluppo delle infrastrutture digitali per spingere milioni di lavoratori in smartworking, smantellare le grandi strutture e decentralizzare gli uffici, costruire piccole unità di produzione. Il lavoro sarà ovunque. Così le scuole, l'educazione primaria e secondaria, l'università. L'isola deve diventare la piattaforma digitale del Mediterraneo. Non è la fine del mondo, è un altro mondo. Possiamo proporre a questo mondo un'idea sana, semplice, felice: venite in Sardegna.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
© Riproduzione riservata