P anglossiano non è parola usuale. La sua etimologia è sorprendente. Pangloss, da cui deriva, è un personaggio stravagante del “Candido” di Voltaire. Chi la pronuncia lo fa per stupire e sconcertare l'interlocutore, per esibizionismo linguistico. Eppure, in certi casi, è insostituibile. Il panglossiano è un ottimista a oltranza, e questo può essere una qualità. Ma se l'ottimismo persiste anche a costo di sottovalutare la portata dei disastri che accadono nel mondo e intorno a lui, allora la virtù diventa difetto. Insomma, l'ultraottimista inossidabile è scriteriato. Soprattutto quando confida su sue presunte capacità sopravvalutandole. È un egotismo innocuo se si limita al compiacimento narcisistico di sé, dannoso se delinea il carattere di chi gestisce affari politici e di governo. Cinque giorni fa, elogiando i suoi “decreti antivirali”, Giuseppe Conte ha sbruffoneggiato che lui e i suoi sodali di gabinetto stanno “scrivendo la Storia”. Il giorno seguente, al termine di uno dei suoi abituali sermoni serali in Tv, ha annunciato l'arrivo, dopo il coronavirus, di “una nuova primavera” italiana. Ormai è evidente: il Primo ministro -che Mattarella ce lo conservi a lungo, ma in naftalina- ha perso oltre al senso della realtà, anche quello delle stagioni. A conferma che trattasi di un panglossiano doc.

TACITUS
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