S e c'è un elemento che da solo riassuma e indichi quel che abbisogna maggiormente in questi giorni vissuti fra timori e preoccupazioni, è certamente l'ossigeno. Perché è divenuto indispensabile per salvare quanti vengono aggrediti dalle crisi respiratorie del Covid-19, e perché è altrettanto indispensabile per ottenere, sotto forma di ricostituente finanziario, il salvataggio di molte nostre imprese.

E nei due casi occorre disporre degli strumenti adatti per utilizzarlo come ultima ratio: in medicina con dei ventilatori meccanici che permettano ai polmoni una regolare ossigenazione del sangue; per le imprese e per le famiglie attraverso dei distributori automatici di liquidità che sopperiscano alla mancanza di entrate per via del fermo lavorativo.

Si tratta di misure eccezionali per interventi immediati, d'emergenza, miranti a dotare le strutture sanitarie delle attrezzature necessarie ed a mettere a disposizione delle imprese e delle famiglie colpite, in modo semplice e diretto, il denaro necessario per la sopravvivenza. In quest'ottica, l'ultima maximanovra da 400 miliardi di euro disposta dal governo Conte per ridare liquidità al sistema, sembrerebbe andare nella direzione giusta, sia per la dimensione innanzitutto che per la semplicità e la rapidità che verrebbero assicurate alle erogazioni. Anche perché troppo spesso gli interventi attuativi sono stati rallentati e stravolti da un ginepraio composto da un coacervo di norme e passaggi contradditori e contrapposti.

Sarebbe propria questa l'occasione giusta per uscir fuori dai tentacoli d'una malaburocrazia ossessiva e possessiva. D'altra parte siamo in guerra e le procedure, specialmente per le imprese, devono essere semplificate, rese facilmente e rapidamente applicabili. Osservando anche quanto disposto negli altri paesi. Dagli Stati Uniti, ad esempio, in cui l'epidemia è giunta ben dopo di noi, e dove è stato già adottato un provvedimento che, con la rapida compilazione di un documento di quattro paginette, consente di accedere, in autocertificazione, ai finanziamenti necessari per far fronte agli stipendi ed agli altri costi aziendali, come affitti e bollette, necessari per superare il periodo di 90 o 120 giorni di fermo (e chi sgarra rischia anche 5 anni di carcere).

Poi c'è l'aspetto che riguarda le condizioni socio-economiche, non certo ottimali, su cui versa l'Isola. Perché da diverso tempo è in atto da queste parti quella che si potrebbe definire, citando Alain Touraine, una demodernizzazione strisciante, cioè una tendenza a voler tornare indietro, a cancellare tutto quel che è avvenuto, pressappoco negli ultimi cento anni, come conquiste di progresso. Occorrerebbe quindi trovare le risorse e le idee per progettare la Sardegna del dopo: del post pandemia da Covid-19 certamente, ma anche del post autonomia e del post industriale. Ci si dovrebbe rendere conto che quel che era attuale nel 1950, in tema di autonomia regionale o di industrializzazione forzata, non lo è più oggi e lo sarà ancor meno domani. Infatti, il mondo attorno a noi è profondamente cambiato e per competervi non basta più l'armamentario statutario ed economico d'allora.

Per affrontare quei tre “post” occorrerebbe prepararsi per tempo, mettendo insieme, già da ora delle task-force di studiosi ed esperti (in sanità, in economia, in geografia, in logistica e in sociologia), che predispongano un piano di azioni per poter passare dalla demodernizzazione della decadenza alla rimodernizzazione verso il progresso. Ci sono temi importanti da analizzare ed affrontare, conoscenze da approfondire ed applicare, nuovi percorsi da individuare, diversi settori da risanare e rilanciare. Ed è poi questa l'agenda di lavoro da predisporre perché la Sardegna del post virus non dovrà essere eguale a quel che era prima del capodanno di questo 2020.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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