Q uando pensiamo alla Sardegna, nessuno di noi la immagina isolata. Tutta la nostra storia è dentro il grande racconto del Mediterraneo. Il nostro destino è navigare, parola latina, derivata da “navis”, nave. Siamo un popolo in viaggio. Pensate alla potenza dell'immagine della navicella nuragica, siamo nel campo del mito, della scoperta. La geografia impone ai sardi una dimensione esistenziale singolare. Perché le strade a un certo punto finiscono. E andare significa fare un balzo, solcare le onde e cavalcare le nuvole. Abbiamo bisogno di navi e aerei, le nostre navicelle.

Dopo la seconda guerra mondiale nacque in Sardegna la prima compagnia aerea italiana, si chiamava Airone, base nell'aeroporto di Monserrato. La storia di Airone è una porta spalancata sul futuro, il nostro presente. La compagnia funzionava bene, trasportava i passeggeri con regolarità, ma fu strangolata da Alitalia, favorita dal governo nell'assegnazione delle rotte. Correva l'anno 1947, la storia si ripete.

Così siamo di nuovo nella fase “Houston, abbiamo un problema”. La liquidazione di Air Italy non è una sorpresa. Chi mostra stupore è privo di senso della realtà. Siamo di fronte a condizioni di mercato impossibili, determinate prima di tutto dalla presenza di un vettore - Alitalia - che perde circa 2 milioni di euro al giorno ma vola lo stesso con i soldi dei contribuenti. Alitalia è costata ai cittadini italiani oltre 8 miliardi di euro (ultimo prestito ponte, 900 milioni). Alitalia vola, Air Italy resta a terra.

C 'è chi punta il dito sugli azionisti di Air Italy, sulla loro decisione di liquidare l'azienda. Domanda sul taccuino: chi può continuare la sua attività con una perdita di circa 200 milioni di euro? Risposta: nessuno. Tranne Alitalia, che perde oltre mezzo miliardo, brucia i soldi dei contribuenti e distorce il mercato. Il tema riguarda anche i 226 milioni di euro di incentivi distribuiti in tutta Italia dagli enti locali alle compagnie low cost. Sarebbe questo il mercato? Applausi.

C'è naturalmente chi sostiene che l'Aga Khan (il principale azionista di Air Italy, l'altro partner è Qatar Airways) avrebbe dovuto essere più generoso nei confronti dell'isola. Quello dello smemorato è un mestiere che non conosce crisi, qualcuno ricorda come fu trattato l'Aga Khan dalla classe politica (e non solo) ai tempi del Master Plan sulla Costa Smeralda? Si possono avere le più diverse opinioni, ma le scelte fatte ieri hanno sempre delle conseguenze inattese oggi.

Che fare adesso? In Italia la via per evitare i fallimenti è sempre la stessa: si prendono i soldi pubblici e la baracca va avanti. Ma come insegnava Margaret Thatcher, i soldi pubblici non esistono, sono i soldi dei contribuenti. Così l'immaginazione avanza a briglia sciolta e, si capisce, la via più breve è quella di staccare un assegno e poi vediamo che succede, come al tavolo da poker. Nel mazzo di carte dunque compare l'ipotesi di un ingresso della Regione Sardegna nel capitale di Air Italy. Tutti felici e contenti. Davvero? L'Aga Khan e Qatar Airways non sono una compagnia di giro di sprovveduti, se chiudono il bilancio in rosso, vuol dire che le condizioni del mercato sono proibitive. Tra un anno, dopo aver di nuovo bruciato il capitale (ricordiamo che bisognava versare subito 200 milioni per dare la continuità aziendale a Air Italy), che cosa farà la Regione Sardegna? Come spiegherà che bisogna riaprire il portafoglio e ricapitalizzare l'azienda? Non accende i neuroni di nessuno il fatto che Ryanair non voglia l'azienda, ma le rotte?

Si dirà che sono in ballo centinaia di posti di lavoro nell'isola (come in tanti altri settori che non sono tutelati da nessuno), che parliamo della ricchezza di Olbia e della Gallura, che c'è prima di tutto un interesse pubblico da tutelare, il diritto dei sardi alla continuità territoriale. Siamo d'accordo, ma allora bisogna ragionare davvero come una Regione Autonoma, lasciar perdere le mezze misure, azzerare tutto, parlare chiaro ai sardi e rispondere a una sola domanda: chi paga?

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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