C 'è la guerra? Sì e no. Siamo dentro una matrioska di conflitti, più o meno grandi e importanti, ma nonostante il gran rumore, la realtà è che si cerca di sparare il meno possibile, uccidere il meno possibile, con più precisione possibile. Il risultato è che in queste condizioni far esplodere una guerra totale è (im)possibile. Andiamo alla sostanza, l'attacco iraniano alla base americana in Iraq, che la notte appariva come il preludio della guerra e la sera s'è rivelato una via possibile per la pace. Donald Trump ha confermato che l'attacco ha prodotto zero perdite tra gli americani.

A ltrettanto hanno fatto gli iracheni, dunque il blitz è finito in Shakespeare, tanto rumore per nulla. La tv di Teheran qualche ora dopo l'attacco dava notizia della morte di 80 persone. Non era ancora l'alba e in realtà niente di quello che raccontava l'Iran andava a dama, né il numero di morti né quello dei missili lanciati.

«All is well», tutto bene, aveva twittato al mattino Trump. Sembrava una scherzo. E invece no. Trump dalla Casa Bianca ieri ha declinato un discorso con il pugno chiuso e la mano tesa, ha ribadito la linea dura sul nucleare («l'Iran non lo avrà mai finché ci sono io»), annunciato «nuove sanzioni immediate», spiegato le ragioni dell'eliminazione di Soleimani («pianificava nuovi attacchi contro obiettivi americani»), ma il centro del suo messaggio è stato l'invito all'Iran per aprire un nuovo negoziato, la formula «gli Stati Uniti sono pronti alla pace, con tutti quelli che la desiderano».

Come si chiama tutto questo? De-escalation. Così dopo il discorso di Trump Wall Street è tornata in positivo, il prezzo del petrolio è andato giù di cinque punti, il mercato è rientrato nella fase della Bonanza. Questo passaggio con l'Iran - vedremo in seguito se e come potrà maturare - non sarebbe stato possibile senza l'eliminazione di Soleimani, il master and commander della forza al-Quds, lo stratega di quattro scenari roventi sulla scacchiera del Medio Oriente: Libano, Siria, Yemen e Iraq. L'uccisione del generale ha messo il regime iraniano in ginocchio, ha detto agli Ayatollah “nessuno di voi è più al sicuro” e piazzato Teheran di fronte alla realtà di una scelta che non si può permettere: la guerra con gli Stati Uniti. È una vittoria di Trump che in queste ore viene ammessa anche dagli esponenti Democratici preoccupati per lo schiacciamento del partito su posizioni radicali.

Domanda dal primo banco: e il raid sulla base americana allora cos'è? Siamo in presenza di un'operazione di fiction di guerra, da parte di tutti i soggetti in campo. Abbiamo un paio di incastri su questa storia, siamo al tavolo da poker, tre carte a disposizione. 1) L'Iran ha scelto di mancare il colpo. I missili non hanno centrato gli obiettivi perché l'Iran ha voluto mandare agli Stati Uniti questo messaggio: oggi vi abbiamo risparmiato, la prossima volta il bersaglio sarà distrutto. 2) Il governo iracheno è stato avvisato del raid aereo imminente (questo è un fatto certo) e se sono stati avvisati gli iracheni, a quel punto anche gli americani lo hanno saputo (fatto altrettanto certo), dunque al momento dello strike iraniano le truppe della base aerea erano da un'altra parte, al sicuro. 3) Il grande gioco di fumo e specchi. C'è anche questa carta, dal sapore cospiratorio: l'Iran aveva bisogno di dimostrare al proprio popolo di avere la situazione in pugno e di saper dare una risposta agli Stati Uniti, non potendo innescare una guerra con un blitz letale sulle forze armate americane, ha avvisato tutti e condotto il bombardamento sapendo che non avrebbe causato vittime.

Quale sarà quella giusta? In ogni caso, l'esito finale è il seguente: il regime di Teheran può esibire una risposta militare in patria (e raccontarla con l'iperbole degli 80 morti) mentre Trump, dove aver eliminato al Baghdadi e ora Soleimani (i due pezzi da novanta della lista nera della Casa Bianca) si prepara alla campagna presidenziale di America 2020 con l'Iran piegato e ridimensionato nelle sue aspirazioni, una vittoria sul terreno militare e politico. Così tutto torna, ognuno ha il suo guadagno per l'oggi, mentre per il domani provvederà il prossimo bombardamento.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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