O ltre al carbone della Befana (ovvero i tanti conflitti nella maggioranza) queste feste di Natale hanno portato un regalo prezioso al più importante rappresentante del governo. Si tratta, lo avete già capito, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, uomo fortunato che si ritrova sotto l'albero una mezza investitura da leader di tutta la coalizione.

Il pacco con il fiocco di raso è arrivato sotto forma di una intervista del segretario del Pd Nicola Zingaretti al “Corriere della sera”. È quella in cui il governatore del Lazio ha dichiarato: «Conte si è dimostrato un buon capo di governo. Autorevole, colto e anche veloce e sagace tatticamente». E, soprattutto: «Conte è oggettivamente - aggiungeva il leader - un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste».

Parole pesanti come pietre, che corrispondevano ad una designazione “de facto”. Un segnale che hanno capito tutti, se è vero che nel partito è scoppiata una mezza rivolta, e che lo stesso Zingaretti, per placare la rivolta di orfiniani e renziani, ha dovuto gettare acqua sul fuoco in una successiva intervista a Lucia Annunziata, domenica pomeriggio, pronunciando parole più prudenti: «Conte è un pezzo di questo centrosinistra che si sta riorganizzando: chi guiderà il prossimo governo, se ci sarà, lo vedremo poi». Ma il recinto è stato chiuso dopo che i buoi erano già scappati.

In realtà è da questa estate che il rapporto tra Zingaretti e Conte si è ribaltato con una capriola sorprendente.

P artito con un veto («Lui no, ci deve essere discontinuità»), è diventato un rapporto di amore reciproco: «È una persona molto seria, e anche simpatica», diceva Zingaretti del premier, dopo i primi incontri, già a settembre. E un altro paradosso fa sì che questo asse d'acciaio, tra il leader del Pd e il professore abbia creato gelosie: da un lato dentro il M5s, dove i puristi intransigenti lo considerano un moderato e dall'altro nell'ala più moderata del Pd che lo considera troppo estremo. Fantastico: la politica è davvero l'arte del possibile.

D'altra parte Conte da mesi azzecca le mosse: bucò sui media autoproclamandosi “avvocato del popolo”, distolse l'attenzione dei critici quest'estate - pare incredibile - quando disse «Non sono più interessato a entrare a Palazzo Chigi» (si è visto!) proprio nel pieno della crisi. Dimostrò di avere grinta quando sfidò Salvini in Senato («Questo coraggio di staccare la spina me lo prendo io»). Dimostrò di avere fegato quando si buttò nel crogiolo incandescente dell'Ilva, fermandosi a parlare con tutti (operai incazzati compresi). Nessuno ha ancora capito come abbia fatto a ricevere un doppio endorsement, per giunta contemporaneo, da due personalità così distanti come Donald Trump e Bill Gates. Un giorno Conte mi disse: «So che ci sono molti leader bravissimi ad andare in televisione». E lei no? Conte sorrise: «Io sono stato bravo a capire una cosa: che ci devo andare pochissimo».

Non è un caso dunque che una delle rarissime eccezioni a questo precetto l'abbia fatta per andare ospite, martedì scorso, nell'ultima puntata della stagione di Giovanni Floris. Quella sera si è confrontato con Myrta Merlino e due direttori contemporaneamente. E sopratutto con uno di loro, Alessandro Sallusti, polemista agguerrito: «Direttore, se lei mi consente di terminare, io poi le rispondo su tutto». Alla Merlino, che aveva premesso di fare «una domanda umana, visto che qui sono l'unica donna», ha risposto con ironia sul conflitto di interessi: «Ah, questa era la domanda umana?». A Floris ha spiegato di trovarsi bene nel centrosinistra «perché sono un cattolico progressista da sempre», ma poi ha aggiunto, dopo una pausa teatrale alla domanda sulle Europee: «Ho votato cinque stelle».

A volte parla in avvocatese, ogni tanto infila qualche frammento latinorum nei suoi discorsi, ma è riuscito a fare persino l'imitazione del suo imitatore Andrò Merkú: «Come sapete sono qui, abbarbicato alla poltrona». Adesso che il Natale 2019 gli ha portato questo strepitoso pacco dono, con dentro il biglietto della lotteria di Palazzo Chigi, inizia una nuova, complessa partita: quella per non entrare - con Gianfranco Fini, Mariotto Segni, Sergio Cofferati e Angelino Alfano - nell'affollato club di quelli che il biglietto della lotteria lo hanno perso.

LUCA TELESE

GIORNALISTA

E AUTORE TELEVISIVO
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