N egli scorsi giorni il Censis ha restituito una foto inquietante dell'Italia, in particolare dello stato d'animo dei suoi abitanti nel pensare il loro futuro o meglio nel non prospettarlo, come accade per il 17%. Mentre solo il 14% si dice ottimista.

A questa scoraggiante media dobbiamo aggiungere numeri peggiorativi per la Sardegna. Chi ha a cuore l'interesse dell'Isola sa le ragioni che l'hanno riportata all'Obiettivo 1, a partire dalla dissoluzione del welfare pubblico; degli interventi strutturali e infrastrutturali, materiali e immateriali; delle politiche per l'educazione e non solo per il tempo pieno e il tempo prolungato, le biblioteche, gli asili nido; dei presidi di campagne e suoli.

L'esito è l'impoverimento complessivo; la fuga della migliore gioventù costituita da diplomati e laureati i cui titoli di studio hanno smesso di essere un ascensore sociale; la diffusione delle tossicodipendenze anche nei contesti agropastorali, immaginati immuni e invece coinvolti nella produzione e nello spaccio delle sostanze stupefacenti. Che dire del crollo di senso e della compulsiva reificazione del patrimonio storico, archeologico, etnografico a prova che il disagio della Sardegna non è solo la rarefazione demografica o di redditi e retribuzioni.

Nessuno può tirarsi fuori; men che meno chi ha avuto ruoli pubblici o li pretende. In ogni democrazia compiuta chi li assume e non è capace di svolgere la funzione intrinseca o per incompetenza o per aver alle spalle il deserto politico e dunque l'assenza di consenso reale, può solo interrogarsi ricorrendo alla pratica dell'autocritica. (...)

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