S e si dovesse stilare la graduatoria delle parole più in voga, resiliènza e sostenibilità sarebbero in testa. Qualsivoglia ambito sembra nobilitato dai due termini ormai assertivi e risolutivi; una sorta di latinorum di manzoniana memoria. Ma come il vero latino o i termini di origine latina - questo è il caso - sono tutt'altro che modaioli e passeggeri. In quel piccolo elemento che si chiama prefisso che ne connota l'ascendenza, per entrambi persiste infatti la qualificazione di senso, antico e autentico, a prescindere dal campo disciplinare a cui oggi vengono ascritti. Resilio e sustineo da cui derivano, contengono, tra i tanti significati assunti nel corso della vita attiva del latino, un denominatore che li collega col resistere, tener testa, ritirarsi, ritrarsi, tornare indietro, sopportare. Le precisazioni non sono manierismi linguistici ma un'urgenza che interpella tutti, a partire dai decisori che amministrano i territori, e riguarda l'uso ponderato delle parole specie di quelle che significano le irriducibilità ancora vive nelle comunità. Quando non si conoscono nei fulcri costitutivi e nelle sfumature, si rischia di inciampare non solo in ossimori assai risibili ma anche in sciagure elettorali. Sembra un paradosso ma resilienza e sostenibilità nella dimensione proattiva come le intendiamo oggi non sono appartenute alle passate geografie rurali perché, come documenta Adriano Prosperi nel saggio “Un volgo disperso. Contadini d'Italia nell'Ottocento” (Einaudi), fino ad avant'ieri la campagna che sfama la città deriva l'essenza di “luogo oggetto” dai suoi abitanti, i contadini, sfruttati e declassati, definiti “classe oggetto”. È necessario pertanto che questi due termini smettano di essere vezzo e assumano il rango di sostanza di governo e li si re-declini a partire dall'ambito urbano. Se questo è forte e consapevole, qualsiasi sia la sua dimensione, anche la campagna sarà riconosciuta nella sua dignità e riconoscibile come altro e non come “sgabello” della città. Tanto più necessario oggi per Cagliari che può disvelare i suoi insegretimenti millenari in virtù di un'adeguata cassetta degli attrezzi che tutta la comunità deve possedere a prescindere dalla zona in cui si risiede. C'è un luogo democratico e trasparente in cui la comunità se ne appropria. Si chiama Piano Urbanistico Comunale, concreto, sano contenitore di resiliènza e di sostenibilità.
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