"Cara Unione,

scrivo perché oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e penso che, nonostante il periodo non certo facile proponga in primo piano altre preoccupazioni, spendere alcune parole su questo terribile fenomeno sia doveroso.

È senz’altro importante l’attenzione, anche simbolica, che negli ultimi giorni è stata garantita dal mondo dei media, attraverso frasi e commenti social, segni rossi e iniziative varie. Certo, la violenza non esiste solo una volta l’anno, non può essere oggetto di riflessioni solo in occasione di una data commemorativa, ma il fatto che almeno in questa data un simile problema ci costringa a soffermarci, senza scivolare come meno urgente rispetto ai pensieri e alle apprensioni quotidiane, può risultare decisivo.

La violenza sulle donne ha tante forme: può essere verbale, psicologica, fisica, sessuale, anche digitale (basti pensare al fenomeno del revenge porn e alle devastanti conseguenze che comporta, come dimostrato anche da drammatici episodi riportati dalle cronache degli ultimi anni). Tutte queste sfumature sono state analizzate e riconosciute nella loro gravità solo in tempi piuttosto recenti, e tutt’oggi è assolutamente difficile tutelare chi ne è convolto.

Indubbiamente un passo avanti che tanta attenzione generale ha garantito è stato quello che potrebbe sembrare, erroneamente, il più scontato: il riconoscimento dello status di vittime. Infatti sempre maggiore è la coscienza di quanto sia folle scaricare le responsabilità di queste violenze su chi le subisce.

Ma sarebbe necessario scavare un pochino oltre. Perché il riconoscimento delle vittime non basta a cogliere e lavorare sulla risoluzione di questa situazione, ma rischia di per sé di generare una cristallizzata e puramente moralistica banalizzazione di un fenomeno che non è soltanto una guerra tra buoni e cattivi contrapposti, ma un meccanismo relazionale tossico che si muove a macchia d’olio sotto le membra silenziose della nostra società, minacciando veramente chiunque.

Individuare il movente, spesso banale, delle violenze o ricostruirne il contesto non rappresenta un tentativo di giustificare azioni indiscutibilmente ingiustificabili. Leggere sui giornali che un uomo commette violenze, spesso su donne che gli sono particolarmente vicine, perché geloso, possessivo, insicuro, disturbato o nonostante sia per tutti un buono o un genio non dovrebbe scandalizzarci in quanto i media mettono in rilievo delle fragilità o dei pregi che umanizzano il mostro, ma dovrebbero metterci in guardia sulla reale identità dei mostri. Perché in molti casi i mostri non sono affatto tali di per sé, e risulta inutile dipingerli con tinte così tragiche e poco sfumate. I mostri spesso sono simpatici, timidi, salutano i vicini quando ritirano la posta, sembrano premurosi, sorridono, magari fanno beneficenza e sono brillanti. Possono essere grandi artisti e grandi geni, che contribuiscono al bene comune o propongono riflessioni universali profondissime e poi commettono violenze. A volte sono anche ragazzini senza carattere, come i figli comunissimi di tanti, che si fanno condizionare dagli amici e diffondono foto e video privati delle loro fidanzate, perché il rispetto reciproco e il valore dell’affetto provato non sono più forti della loro indifferenza. Dietro queste persone, meno cattive di tanti altri violenti, ma non meno numerose, si nasconde la chiave di ogni intervento efficace.

Non dimentichiamo, tra l’altro, che le donne vittime di violenza non sono sempre simpatiche, sobrie, buone o gentili. A volte sono donne scorbutiche, poco socievoli, arroganti, che si vestono in modo per molti troppo provocante, che lasciano i loro fidanzati senza un motivo eclatante o che magari li tradiscono, ma non per questo sono meno vittime o in alcuna misura responsabili di orribili atti.

Smettiamo allora di raccontare la favola infantile della donna buona maltrattata dall’uomo cattivo, perché non rende giustizia alle vittime che sono comunque vittime e non ci protegge da uomini che devono essere denunciati al primo atto violento anche se non rispecchiano al cento per cento l’immagine del troll.

Questo, spero, sarà il prossimo passo per far sì che un fenomeno tanto complesso sia affrontato dalle radici, cioè a partire da pregiudizi e sovrastrutture sociali solide che si possono far traballare solo con l’educazione: quella delle famiglie, delle scuole, di tutti i contesti in cui i giovani crescono. Bisogna evitare di insegnare solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma è ben più efficace stimolare la riflessione, il confronto critico in cui le opinioni maschiliste non sono seccamente censurate, ma hanno la possibilità di essere espresse per poter essere messe in discussione con consapevolezza.

Con questa lentissima rivoluzione concreta si può fare la differenza: basta belle parole, a questo punto serve lavorare sulle nuove generazioni di bambini e bambine con pazienza, cosa quanto mai difficile nell’epoca dell’alta velocità. Ma solo se si prende coscienza del fatto che questa rappresenti l’unica vera via del cambiamento si può sperare di fare l’ulteriore e fondamentale passo avanti: non solo riconoscere quali siano le vittime ma impedire che lo siano".

Fanny Boninu - Nuoro

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