"Cara Unione,

siamo oramai quasi alla quarta settimana di privazione della possibilità di uscire liberamente da casa.

Lo slogan 'io resto a casa' diffuso in tutti i modi, ha ottenuto il suo effetto: chi esce da casa è visto come un potenziale untore da additare al pubblico ludibrio o multare e denunciare se l’uscita non è giustificata da necessità indifferibili.

Siamo certi che stare a casa sia il più efficace e unico modo per combattere il diffondersi di questa epidemia? E’universalmente risaputo che negli ambienti confinati, quali ad esempio le abitazioni, le malattie infettive, in special modo quelle trasmesse per via aerea con la respirazione, la tosse, starnuti, si trasmettono più facilmente.

Ho avuto e continuo ad avere serie perplessità sul fatto che isolarsi nella propria abitazione sia stata e continui ad essere la soluzione migliore, e spiego perché.

Si è deciso dal giorno 11 marzo, ad epidemia iniziata, con numero di morti già ragguardevole, oltre 1000 per una malattia che si diceva avesse una mortalità del 2% degli infetti, di obbligare tutti salvo rare eccezioni a stare a casa. Si sarebbe dovuto considerare che, essendo i morti già allora numerosi, dovessero proporzionalmente essere numerosi pure gli infetti, non solo quelli censiti attraverso i tamponi sino a quel momento positivi (13000). Una percentuale importante della popolazione della Lombardia, del Veneto, del Piemonte, della Liguria e delle Marche era infetta, quella più giovane e attiva, quella degli aperitivi, quella più propensa alla ricerca di contatti sociali, quella obbligata per lavoro al contatto diretto con gli altri. La decisione di obbligare queste persone, e tutti quanti, a stare a casa, significava mettere a contatto per 24 ore su 24 persone potenzialmente infette, che a casa altrimenti sarebbero rientrate magari solo la sera, con familiari che per diverse abitudini di vita, probabilmente, non erano ancora infette, quali anziani genitori, suoceri, nonni. D’altra parte è quanto avvenuto dal 4 febbraio nella nave da crociera Diamond Princess ormeggiata nel porto di Yokohama per mesi, quando, individuato un caso positivo al coronavirus, si è tenuto tutto l’equipaggio e i croceristi nella nave in quarantena, facendo salire esponenzialmente il numero degli infetti.

Sarebbe stato a mio parere più corretto centrare l’attenzione sulla necessità di isolarsi ognuno dall’altro, l’hashtag #isoliamoci sarebbe stato a mio parere più corretto.

Distanziamoci l’uno dall’altro, anche e soprattutto in ambiente familiare, e quando questo non fosse possibile, come nelle abitazioni troppo piccole, vivere in alloggi separati, anche di fortuna quali uffici, negozi, o foresterie, e nel caso di soggetti sintomatici o positivi, soggiornare obbligatoriamente in locali appositamente individuati dai Comuni.

Non ho mai condiviso l'impedimento a svolgere attività lavorative o sportive all’aperto in quanto all’aperto è facile isolarsi. Se si fosse concentrato l’impegno invece che nello slogan 'io sto a casa' anche, e soprattutto nel far capire che occorreva stare lontani gli uni dagli altri il più possibile, in casa come fuori, ad almeno un metro, ma possibilmente ancora di più, l’uno dall’altro, mettendo in atto le procedure di igiene correttamente consigliate, quali il lavaggio delle mani o la disinfezione delle stesse dopo contatti a rischio, probabilmente oggi conteremo meno morti e non avremmo 'chiuso l’Italia' o rinunciato alla nostra libertà".

Renato Loi - Dermatologo e venereologo

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