"Gentile redazione,

su L'Unione Sarda del 20 ottobre scorso un lettore, certo M. Testa, mi riserva un inopinato e ingiustificato attacco.

La saggezza latina (con l'apoftegma Praetor de minimis non curat) e sarda (con il diciu: a paraulas macas, origras surdas) mi avrebbero consigliato di lasciar perdere. Ma non si tratta, in questo caso, di 'minimis' e neppure di semplici 'paraulas macas', ma di vere e proprie offese, improperi, contumelie e insulti, quelli del detto Testa, gravemente lesivi della mia professionalità di studioso e di storico.

Mi accusa infatti di faziosità preconcetta e di scrivere una storia viziata dal 'proprio orientamento politico (di marca sardista)', cercando di semplificare e addirittura 'falsificare le carte'. E via via sproloquiando.

Si riferisce, senza mai nominarlo direttamente, al mio libro 'Carlo Felice e i tiranni sabaudi'. Da quanto afferma, ho comunque l'impressione che non l'abbia neppure letto. Di esso cita una sola frase, mettendola persino tra parentesi, riguardante Carlo Felice: 'godereccio degustatore di maialetti'. Mai scritta nel mio libro. Se questo è il suo rigore storico!

Evidentemente tal Testa (mi fiat bessinde una paraula mala) o ha la memoria labile e incerta o ha letto una copia apocrifa della mia opera. La frase testuale è invece: 'A gozzovigliare e mangiare porchetti arrosto' (pagina 93, secondo capoverso).

Ma cos'è che prude al Testa, sardo-torinese e neosabaudo?

La mia rigorosa ricostruzione storica e storiografica, su documenti e testi degli storici più avveduti, sia di tendenze filo monarchiche e filo sabaude (come Pietro Martini o Giovanni Lavagna) sia ostili (come Mazzini, Giovanni Maria Angioy ecc.).

Prude al Testa una storia critica e non addomesticata. Lui probabilmente si è abbeverato alla storia ufficiale e dei testi scolastici: rassicurante, mistificata e falsa. Questa sì 'ideologica', (e italo-patriottarda): tutta tesa a giustificare ed esaltare le magnifiche sorti e progressive del cosiddetto Risorgimento e dell'Unità d'Italia.

Una storia 'costruita' sul libro 'Cuore' di De Amicis e non sulla realtà storica.

Con relativo contorno di eroi e di protagonisti risorgimentali che, per rimanere in casa nostra, campeggiano ancora nelle vie e piazze sarde. Ignominiosamente. Perché si tratta di quelli stessi personaggi che hanno sfruttato e represso in modo brutale i Sardi.

Ad iniziare dai tiranni sabaudi, da Carlo Felice, per esempio, che da vicerè come da re fu crudele, feroce e sanguinario, famelico, e ottuso. Più ottuso e reazionario d'ogni altro principe, oltre che dappocco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione (Raimondo Carta_Raspi).

Per continuare con Carlo Alberto, che pomposamente in molti libri scolastici viene ancora definito “re liberale”.

Eccolo il suo liberalismo: nel 1833 ordina personalmente che venga condannato a morte il giovane sardo Efisio Tola. Il reato? Semplicemente per aver letto la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini. Fra gli altri lo ricorda e lo scrive Piero Calamandrei (su Il Ponte, 1950, pagina 1050).

Si dirà: ma nel 1848 promulgò lo 'Statuto'. Sì: ma le norme costituzionali rimasero carta straccia. In realtà lo stato d'assedio divenne il suo sistema di governo. In Sardegna ne furono proclamati due con il generale La Marmora (1849) e con il generale Durando (1852). Nel Meridione ben otto, dopo l'Unità.

Per non parlare di Umberto I, che continua ad essere osannato, non solo nei testi scolastici, addirittura come 're buono'. Ecco un fulgido esempio della sua 'bontà': premiò il generale Bava Beccaris, insignendolo della massima onorificenza, ovvero della croce dell'Ordine militare dei savoia e nominandolo senatore, per aver compiuto un'impresa portentosa: aver dato l'ordine alle truppe di sparare sulla folla inerme a Milano, nel 1898, uccidendo 80 dimostranti e ferendone più di 400 .

Ultimo re sabaudo fu Sciaboletta, che si macchiò di almeno cinque infamie: due 'colpi di stato', con la prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo; le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, la fuga ingloriosa a Brindisi dopo l'armistizio.

E che dire di due protagonisti assoluti nell'agiografia patriottarda del Risorgimento italico: Cavour e Garibaldi?.

Unanimemente il Conte ci viene ancora 'raccontato' come lo statista. Per antonomasia. E se la verità fosse invece quella espressa in una composizione poetica popolare sarda, scritta dopo il 1850, sul metro dei Gògius?

Eccola: 'Furioso come un leone/senza alcun riguardo,/con la pelle dei Sardi/sta giocando il mascalzone/Con una faccia da cinghiale/è feroce come lui' (A riportare il testo è Giulio Mameli, in Bentu Estu, Grafica del Parteolla, 2013).

E Garibaldi? A parte il suo supposto ruolo di venditore di schiavi in America latina, possiamo dimenticare che andò in Sicilia, emanò i Decreti per la distribuzione delle terre ai contadini (il 17 Maggio e il 2 Giugno 1860) e il suo braccio destro Nino Bixio fece trucidare chi quelle terre aveva occupato, prestando fede all'Eroe?

Così le carceri di Franceschiello, appena svuotate, si riempirono in breve e assai più di prima. La grande speranza meridionale ottocentesca, quella di avere da parte dei contadini una porzione di terra, fu soffocata nel sangue e nella galera. Così la loro atavica, antica e spaventosa miseria continuò. Anzi: aumentò a dismisura. I mille andarono nel Sud semplicemente per 'traslocare' manu militari, il popolo meridionale, dai Borbone ai Piemontesi. Altro che liberazione!

Così l'Unità d'Italia si risolverà sostanzialmente nella 'piemontesizzazione' della Penisola:contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l'agricoltura e a favore dell'industria.

Con buona pace di chi ancora crede nella bontà della 'Nazione Italiana' e dell'Italia unita!"

Prof. Francesco Casula - Storico e studioso di Lingua e letteratura sarda

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