Pubblichiamo oggi la risposta di uno studente universitario cagliaritano alla lettera-sfogo di una collega circa le difficoltà, nell'ateneo del capoluogo, per gli iscritti alla facoltà di Lingue.

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"Gentile redazione,

scrivo in risposta alla lettera-sfogo di una studentessa che imputava alla disorganizzazione degli esami di lingua la propria condizione di fuori corso.

Sono anche io uno studente di Lingue e vorrei dare la mia opinione a riguardo. Al di là di contenuti fuorvianti (3 sessioni sì, ma per un totale di 6 appelli all'anno) e gravi accuse figlie di un'assurda dietrologia (parafrasando, "sembra che i docenti non ci facciano passare gli esami per farci pagare più tasse"), mi sembra che la rimostranza della collega non faccia altro che confermare una tendenza diffusa che ho avuto modo di riscontrare nei miei anni da rappresentante degli studenti dei corsi di Lingue.

Al netto delle situazioni personali e degli effettivi e numerosi problemi che esistono - nessuno vuole negarlo - credo sia il caso di fermarci un attimo a riflettere e ridare all'Università il suo valore: quello di un sistema di cui io studente entro a fare parte al momento dell'iscrizione, accettandone le condizioni (regolamento tasse compreso), e la cui qualità dipende anche dal rendimento di chi ne fa parte, studenti compresi.

Da un lato l'Università deve garantire gli strumenti e le risorse che mi consentano di raggiungere determinati obiettivi, per i quali però io studente devo garantire il massimo impegno. Tradotto: io studente ho dei diritti che l'Università deve garantirmi, ma ho anche dei doveri ai quali non mi posso sottrarre, non senza conseguenze almeno.

Succede invece che ad oggi questo "patto" di responsabilità reciproca viene tradito da una parte consistente (non dalla totalità, perché per fortuna c'è anche una parte virtuosa) di coloro che invece ne avrebbero più benefici - gli studenti stessi - e che concepisce il proprio rapporto con l'Università come quello tra cliente e commerciante: pago le tasse e automaticamente ho il diritto di passare gli esami. Tradotto: sta venendo meno non solo l'idea di Università come sistema, ma anche l'interesse a fare parte di questo sistema. Prova ne sia il fatto che le lezioni di lingua straniera e rispettivi tutorati hanno una bassissima frequenza, che SEI (SEI!!!!) appelli l'anno non sono sufficienti per passare un esame, che gli esami si affrontano come fossero il superenalotto ("Lo tento"), che si presenzia a seminari e laboratori solo "in cambio di" crediti universitari.

A ciò si aggiunga l'ormai inesistente partecipazione alla vita universitaria e studentesca, unica via per conoscere veramente le regole del gioco, dare credito e struttura alle proteste e portarle nelle giuste sedi, e invece scavalcata dalla gogna mediatica, perché l'importante è fare rumore e scandalo.

Il risultato sono queste lamentele fini a se stesse, che difficilmente portano da qualche parte. Auguro a chi ha scritto la lettera e a chi ne ha in qualche modo condiviso i contenuti che questo sia davvero il modo di risolvere la situazione. Ma non ci spererei nemmeno troppo".

Lettera firmata* - Cagliari

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