Lisa Marie Montgomery sa quale giorno morirà. Se è un privilegio, probabilmente è l'unico che abbia mai avuto in vita sua.

Sarebbe difficile trovarne uno nella sua infanzia, segnata dalle botte e poi anche dagli stupri inflitti dal compagno di sua madre. Come sottolinea Sandra Babcock, docente della Cornell, l'uomo la violentò per la prima volta quando aveva 11 anni, minacciando di stuprare la sorellina più piccola se lei si fosse ribellata. Lisa non si ribellò. E non lo fece neanche quando l'uomo la violentò di nuovo, stavolta sotto gli occhi della madre, un'alcolista che la educava a suon di docce fredde e frustate, e per punire lei e la sorellina uccise il cane di casa a colpi di pala sotto i loro occhi. È solo l'inizio di una sequela di atrocità. La madre comincia a prostituirla l'anno dopo, quando ne ha 12, vendendola a uomini che abusano di lei anche in gruppo, e continuerà a farlo per tutta la sua adolescenza. A 17 anni Lisa si sposa ma le nozze non sono una fuga dal castello degli orrori: Lisa sta solo cambiando stanza. Il marito che la madre le impone è il figlio del patrigno. Con il matrimonio comincia una vita nuova ma non diversa, fatta di abusi e violenze. Durerà a sufficienza perché nascano quattro bambini, poi Lisa viene sterilizzata contro la sua volontà. Finalmente chiede il divorzio, intreccia una nuova relazione e dopo qualche tempo annuncia al compagno di essere incinta. Ma la cosa viene alle orecchie dell'ex marito, che la avverte: sai bene che non puoi più avere figli, per via di questa panzana della gravidanza chiederò a un giudice di toglierti due dei nostri bambini. Lisa è in un vicolo cieco, per uscirne le servirebbe un neonato da mostrare al mondo e all'ex marito. Da qualche tempo, frequentando una chat di appassionati di rat terrier, è entrata in contatto con Bobby Jo Stinnett, una 23enne del Missouri che insieme al marito alleva questi cagnetti vivaci e intelligenti. Lisa ha visto le foto sul sito dell'allevamento e sa che Bobby Jo aspetta un bambino: dopo un po' le confida di essere anche lei incinta e crea una certa confidenza con la ragazza.

Le due continuano a chattare, poi un giorno Lisa monta in auto, percorre le 130 miglia che separano Melvern, Kansas, da Skidmore, Missouri, e va all'allevamento di rat terrier. Quel giorno Bobby Jo ha un appuntamento con una donna che deve comprare un cucciolo: quando Lisa suona alla porta le apre tranquilla, convinta che sia la cliente. L'aggressione è immediata. Fra le due donne c'è una lotta, come dimostrano le ciocche bionde trovate strette nei pugni della ragazza, ma Bobby Jo è all'ottavo mese di gravidanza e Lisa ha dalla sua parte l'effetto sorpresa. Alla fine prevale e riesce a strangolare Bobby Jo. Poi con un coltello le squarcia lateralmente l'addome, recide il cordone ombelicale, estrae il feto e lo porta con sé in Kansas. Si ferma a Topeka, non lontano da casa, telefona al marito e gli chiede di andarla a prendere: il parto è arrivato all'improvviso, mentre lei faceva spese, e ora non è in grado di guidare. Comunque è andato tutto bene e lei si sente abbastanza ok. Ah, già: è una femminuccia. L'uomo crede a tutto e va a prenderla. Al ritorno fa guidare l'auto di Lisa al più grande dei quattro bambini, mentre lui riporta a casa la donna con l'altra macchina. È una follia pericolosa, ma in un contesto del genere diventa un dettaglio insignificante. Per qualche giorno, come racconta il pastore di Melvern alla Cnn, la coppia mostra ai conoscenti l'ultima arrivata della famiglia, quella piccina venuta al mondo nel bel mezzo dello shopping. Auguri e felicitazioni, ma dopo un po' arriva l'Fbi, porta la bambina in ospedale e la restituisce al padre, il vedovo di Bobbie Jo. La piccola non solo è ancora viva ma supera bene il trauma. Oggi ha sedici anni.

Lisa viene arrestata in base al Federal Kidnapping Act, una legge nata dopo il caso Lindbergh per punire chi sequestra una persona e la porta oltre un confine statale, come ha fatto Lisa passando dal Missouri al Kansas. A giudicarla sarà un tribunale degli Stati Uniti d'America, non un giudice statale: dal 1932 un gesto come il suo è un reato federale, non contro il codice penale del Kansas, punibile con l'ergastolo o la morte.

Ma Lisa ha un'ottima carta da giocare contro la pena capitale: la sua biografia da paziente psichiatrica. Come scrive Sandra Babcock su deathpenaltyworldwide.org, "tuttora ha bisogno di un complesso cocktail di psicofarmaci per mantenere il contatto con la realtà": alcolista come sua madre, soffre di danni cerebrali, sindrome da stress post-traumatico, depressione e disturbi della personalità. Negli Usa infliggere la morte a un disabile mentale è incostituzionale e la persona più adatta per ricordarlo ai giudici è Judy Clarke, definita da Babcock "una delle più talentuose legali nel Paese, rinomata per il suo lavoro con clienti malati di mente o vittime di abusi e traumi". La buona notizia per Lisa è che l'avvocata accetta di partecipare alla difesa. La cattiva è il capo del team legale, Dave Owen, un avvocato che non ha mai difeso un imputato che rischia la pena di morte, non riesce a instaurare un buon rapporto con Clarke e la allontana. Proverà lui a salvare Lisa dal patibolo.

Saranno in molti a protestare - dalla stampa progressista agli attivisti per i diritti umani - quando dopo l'ultima udienza il giudice sentenzia: pena capitale.

Appurata l'assoluta inconsistenza di Owen, per il processo di appello Lisa si trova accanto un secondo avvocato, Frederick Duchardt. Come spiega David Rose sul Guardian, con quattro condanne in sette processi capitali è il legale americano col più alto tasso di clienti mandati a morire. E Lisa Montgomery non gli rovina le statistiche: l'appello conferma la condanna. Non solo: di lì a qualche tempo una sua richiesta di revisione del processo viene rigettata dalla Corte suprema. Ma è la giustizia federale a volere la morte di Lisa, come sappiamo, e non quella di un singolo stato. È un dettaglio importante: a differenza dei suoi colleghi locali (basta pensare a quello texano, indaffaratissimo) il boia federale è fermo da tempo. Nel 2008, quando arriva la sentenza per Lisa, già da cinque anni non si eseguono condanne a morte federali. L'opinione pubblica americana è sempre più perplessa sulla pena capitale e ormai per le imprese che producono i tre farmaci necessari all'iniezione letale (tiopental sodico, pancuronio e cloruro di potassio) rifornire il boia è più imbarazzante che remunerativo, perciò da tempo la produzione è ferma. Lo stallo potrebbe andare avanti per decenni e Lisa potrebbe invecchiare e morire di morte naturale nella cella dove intanto è diventata nonna. Ma la fortuna non è mai stata dalla sua parte: un giorno, dopo 17 anni di sospensione, l'amministrazione federale decide che le condanne a morte vanno eseguite. Come spiega l'attorney general William Barr, il ministro della Giustizia americano, si tratta di "un dovere verso le vittime e le loro famiglie". Non aggiunge che è un buon ricostituente per l'immagine "law and order" di Trump, eppure è quel che viene in mente a moltissimi. Il 25 luglio del 2019 Barr decreta che per le esecuzioni basta il pentobarbital, un barbiturico che in dosaggi elevati uccide per arresto respiratorio. È una frase di una riga ma basta per riattivare la macchina della morte federale, che dopo un anno di rodaggio torna in funzione il 25 luglio scorso con l'uccisione del suprematista bianco Daniel Lewis Lee, accusato di aver torturato a morte l'armaiolo ebreo William Mueller, sua moglie Nancy e la figlioletta Sarah, 8 anni. La giostra è ripartita, nel giro di poche settimane vengono asfissiati dal pentobarbital anche Wesley Ira Purkey, Dustin Lee Honken e Keith Dwayne Nelson. Tutti uomini. Ma adesso spetta a Lisa.

L'ultima donna a morire per una condanna federale fu Bonnie Heady, accusata di aver rapito e ucciso un bimbo. Poco prima l'aveva preceduta Ethel Rosenberg, protagonista con il marito Julius di un processo per spionaggio molto controverso. Entrambe furono uccise nel 1953, in piena Guerra Fredda. Quasi settant'anni dopo, la prossima vittima della guerra dell'America con se stessa è di nuovo una donna.

Lisa morirà l'8 dicembre, il giorno dell'Immacolata Concezione.

© Riproduzione riservata