Hanno in comune la voglia di vivere, la passione per il calcio e l’essere sardi. Carlo Cicalò, cagliaritano di 50anni residente a Elmas, e Carlo Garbarino, 60 anni di Cagliari, autista del Ctm da due mesi in pensione, hanno però vinto la loro sfida più difficile: ritornare a giocare a pallone, avendo una seconda vita, dopo un trapianto. Cicalò ha dovuto affrontare per due volte l’intervento, ricevendo un rene quando aveva 21 anni e dopo altri 13 un secondo rene per un nuovo trapianto, mentre Garbarino nel 2012 è entrato nella sala operatoria ricevendo in dono un fegato sano. Ed entrambi, a metà settembre, hanno vissuto la meravigliosa esperienza di vestire la maglia azzurra della nazionale italiana di calcio a 11, scendendo in campo nel campionato del Mondo per trapiantati.

E se il loro campionato lo hanno vinto quando sono usciti dalla sala operatoria dopo il trapianto, non si sono certamente risparmiati in campo portando l’Italia al quinto posto finale nella competizione disputata a Cervia (e vinta dal Cile) ma soprattutto portando avanti e ribadendo un messaggio fondamentale: diffondere la cultura della donazione. «Difficile descrivere l’emozione provata nel poter vestire la maglia della nazionale e farlo per diffondere la cultura della donazione che permette a tante persone di rifarsi una seconda vita», dicono Garbarino (un ottimo passato da calciatore) e Cicalò.

Da sinistra, Carlo Cicalò e Carlo Garbarino
Da sinistra, Carlo Cicalò e Carlo Garbarino
Da sinistra, Carlo Cicalò e Carlo Garbarino

Scendere in campo e affrontare gli avversari delle altre nazionali (Cile, Spagna, Inghilterra, Francia, Irlanda, Australia, Galles, Usa, Irlanda del Nord e Romania) è stato un momento magico per entrambi, così come condividere le storie con tanti altri trapiantati provenienti da tutto il Mondo.

Carlo Garbarino, ex giocatore di calcio (ha disputato tantissimi campionati di Interregionale, Eccellenza, Promozione con parecchie squadre, tra queste Selargius, Sirio, Pula, Assemini, Gialeto, Settimo, Sarroch e Villasimius, vincendone più di 15, e provando anche la strada da allenatore), ha affrontato la sfida più difficile della sua vita nel 2012, l’anno del trapianto: un anno prima, a seguito della cura per una calcolosi renale scopre – purtroppo quando è oramai tardi – un’allergia ai farmaci che compromette il funzionamento del fegato. Unica via d’uscita: il trapianto. «Una domenica», ricorda Garbarino, «gioco la partita più importante della mia vita in una sala operatoria. Grazie a Gianmario Milia, il mio angelo morto in un incidente stradale, e alla sua famiglia che ha acconsentito alla donazione, ho avuto una seconda possibilità. Ho così ripreso a lavorare, a correre e a giocare a calcio. E nel 2014 è nata mia figlia Dalia». Garbarino è un veterano della nazionale trapiantati: nel suo passato, con la maglia azzurra, c’è anche la vittoria dei campionati Europei nel 2019. Ogni momento comunque è quello giusto per «divulgare la cultura della donazione degli organi, che è la nostra missione. Per dimostrare che si può ritornare a vivere al massimo, grazie a un dono che moltiplica la vita e l’amore».

Carlo Cicalò da ragazzo non riusciva a staccarsi dal pallone: scuola calcio, settore giovanile e i primi campionati agonistici. Ma a 17 anni sono arrivati i problemi ai reni. «Dopo la malattia ai reni e l’emodialisi, a 21 anni, ho dovuto lasciare l’attività agonistica», ricorda Cicalò. «Il trapianto, grazie a un donatore, mi ha ridato la vita. Ho ripreso così a giocare a calcio nel Sant’Avendrace, lavorare e farmi una famiglia». Ma la vita gli riserva un’altra sfida. «Dopo tredici anni ho avuto un rigetto. E c’è stato il gesto meraviglioso, che ancora oggi mi commuove ed emoziona: mio fratello Alberto mi ha donato un rene, riportandomi ancora una volta in vita e permettendomi di riprendere con il calcio». Anche lui fa parte da tanti anni dell’Associazione nazionale emodializzati. Ha saputo che ci sarebbero stati i campionati del Mondo di calcio per trapiantati e la sua passione per il pallone lo ha spinto a provare questa sfida. «Mi sono candidato, ho fatto i raduni e sono stato selezionato. E ho potuto così vivere questa meravigliosa esperienza, conoscendo tante splendide persone e le loro storie. E abbiamo ricordato, con grande riconoscenza, i nostri donatori e le loro famiglie: grazie a loro abbiamo avuto una seconda vita».

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