L’11 settembre per gli americani e, oggi, per tutto il mondo, è una data che si ricorda facilmente. Una data che ha cambiato anche le sorti del Cile e, a cinquant’anni di distanza, sembra quasi una sorta di legge del contrappasso per gli Usa, dopo che dagli archivi di parecchi Stati sono emersi documenti che hanno ricollegato direttamente alla Cia quello che accadde a Santiago del Cile. L’assalto al palazzo della Moneda, la morte del presidente Salvador Allende e l’inizio della dittatura di Pinochet, per una strana coincidenza, avvennero nella stessa data, l’11 settembre del 1973, di quel giorno fatidico scelto nel 2001 dai terroristi islamici per colpire gli Usa nel suo cuore pulsante, il centro di Manhattan.

Ferita aperta

A mezzo secolo da allora, la ferita del Cile, tuttavia, non si è ancora rimarginata. Tanto che Gabriel Boric, il presidente dello Stato sudamericano ritornato alla democrazia nel 1989, dopo un plebiscito contro il dittatore Augusto Pinochet, non è riuscito nei giorni scorsi a mettere d’accordo tutte le forze politiche del suo Paese su una dichiarazione per la salvaguardia della democrazia e dei diritti umani, in vista delle commemorazioni dell’11 settembre per i 50 anni dal golpe. «Non siamo disposti a partecipare a iniziative che generino ulteriori divisioni. Non ci metteremo al servizio di una verità ufficiale», ha dichiarato il presidente dell’Udi, il senatore Javier Macaya, d’accordo con i suoi colleghi della coalizione Chile Vamos che comprende anche Renovacion Nacional ed Evopoli. «Sulle verità storiche esistono punti di vista diversi», ha aggiunto per giustificare questa presa di posizione, sulla quale converge anche l’ex presidente Repubblicano Arturo Squella. Quindi il presidente Boric, in occasione della manifestazione con numerosi capi di Stato, tra cui il brasiliano Lula, porterà solo una dichiarazione generica sui diritti umani ma non condivisa e firmata da tutte le forze politiche del suo Paese.

Il ruolo degli Usa

Divisioni che rimangono dunque nella politica cilena a mezzo secolo da quel giorno in cui il palazzo della Moneda venne prima bombardato con raid aerei e poi preso d’assalto dalle forze guidate dal generale Augusto Pinochet, il dittatore che prese il potere per quasi vent’anni. Nonostante gli scenari geopolitici siano mutati, dunque, permangono versioni diverse che ancora differenziano i partiti politici cileni e questo accade anche se su quella vicenda alcuni fatti, a iniziare dal ruolo della Cia, appaiono oggi più difficili da smentire, alla luce di documenti emersi negli anni sulla famosa operazione Condor. La prima data ufficiale a cui si può ricondurre tale operazione è quella del febbraio 1974, quando ci sarebbe stato un incontro tra alcuni elementi di spicco delle polizie segrete di Bolivia, Argentina, Uruguay e Paraguay con Manuel Contreras, capo della Dina, i servizi segreti di Pinochet, proprio a Santiago del Cile. Questo è il primo elemento certo, ma sembra che l’idea di far nascere un coordinamento tra le polizie segrete della maggior parte dei Paesi sudamericani dove dominavano le dittature risalisse a pochi giorni prima del golpe cileno, quando il 3 settembre del 1973 il generale brasiliano Breno Borges Fortes propose appunto di realizzare una partnership tra i servizi segreti per combattere il comunismo e le forze considerate allora sovversive. Una “santa alleanza” patrocinata dagli Stati Uniti anche se si pensa che il ruolo di Washington sia stato maggiore rispetto a una semplice sponsorizzazione. Tanto più che in quel momento le dittature facevano il bello e il cattivo tempo in Sud America, grazie proprio anche alle sovvenzioni e i sostegni che arrivavano dalla Cia. In Paraguay dal 1954 era al potere il generale Alfredo Stroessner, in Brasile dal 1964 dominavano le forze armate, il generale Hugo Banzer prese il potere in Bolivia nel 1971 (dove qualche anno prima fu ucciso Ernesto Che Guevara, andato a combattere in questo Paese per sostenere le forze di sinistra), nel 1973 ci fu il golpe in Chile e infine nel 1975 salì al potere in Argentina la giunta militare capeggiata dal generale Jorge Rafael Videla. Furono gli anni in cui le polizie segrete si accanirono contro gli oppositori, dagli appartenenti ai movimenti giovanili fino ai sindacalisti e agli intellettuali che facevano parte dei movimenti di opposizione. Anni di sparizioni, torture, carcerazioni e morti. Gli anni dei desaparecidos.

Condor

I Paesi che entrarono a far parte dell’operazione Condor, non solo quelli già citati ma anche l’Uruguay ad esempio, ottennero massicci aiuti economici dagli Stati Uniti, addestramento e forniture militari oltre a coperture e sostegno per le loro intelligence. Il tutto con il benestare della Cia che coordinava molte azioni dal canale di Panama. Un coinvolgimento che apparve più chiaro quando, nel 1992, il giudice paraguaiano José Augustin Fernandez scoprì, nel corso di un’indagine, archivi segreti e dettagliati conservati in una stazione di polizia di Asuncion, dai quali emergeva la sorte di migliaia (50 mila morti e 30 mila desaparecidos) di sudamericani rapiti, torturati e assassinati tra gli anni Settanta e Ottanta dalle forze armate e dalle polizie segrete di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile ma anche con il coinvolgimento degli apparati segreti di Colombia, Perù e Venezuela.

Il referendum e il colpo di Stato

Eppure oggi, a distanza di cinquant’anni dalla destituzione di Salvador Allende, che si suicidò dopo l’assalto alla Moneda (ma sulla sua morte restano ancora versioni differenti nonostante la stessa famiglia abbia accettato la tesi del gesto volontario per non cadere in mano ai golpisti e sacrificare la sua vita alla democrazia), restano ancora particolari da chiarire sulle vicende del golpe. A iniziare dalla volontà di Allende di indire un referendum per sottoporre al popolo la continuità della sua presidenza, minacciata appunto dalle forze militari. Proprio martedì 11 settembre 1973 voleva annunciare il suo piano alla nazione dopo aver cercato di coinvolgere sia i democristiani, allora all’opposizione in Cile, che i socialisti, primo partito della coalizione che lo appoggiava. Una notizia che però era conosciuta senza dubbio da Augusto Pinochet, capo dell’Esercito, nominato proprio qualche settimana prima dallo stesso Allende, all’oscuro del fatto che il futuro dittatore fosse invece dalla parte (e forse pure alla guida visto quello che accadde dopo) dei golpisti. Nessuno dei partiti diede però un via libera ufficiale, per ragioni differenti, ad Allende sul referendum, ma il presidente andò avanti convinto che il Parlamento avrebbe accettato, sicuro della sconfitta del leader socialista. I militari tuttavia temevano quella consultazione popolare e quindi anticiparono il golpe.

Peraltro il colpo di Stato fu preceduto da un altro episodio singolare: fino ad agosto del 1973 le forze armate erano guidate dal generale Carlos Prats, fedele alla Costituzione e amico di Allende. Il 21 agosto, alcune mogli di ufficiali manifestarono davanti al ministero della Difesa chiedendo alla consorte del generale Prats di consegnare al comandante dell’esercito una lettera nella quale gli si chiedeva di non appoggiare più Allende. Addirittura trecento donne si radunarono sotto casa di Prats e ci furono anche disordini. Il comandante dell’esercito chiese una lettera di sostegno ai suoi ufficiali attraverso il suo vice, Augusto Pinochet, ma la solidarietà non arrivò e il capo della forze armate si dimise, dando così ingenuamente il via libera alla nomina di Pinochet che avrebbe dovuto calmare le acque, anche perché Allende lo considerava un suo uomo. Le cose tuttavia andarono diversamente: forse la Cia era riuscita ad arrivare anche alle mogli dei generali? Difficile scoprirlo e anche se oggi si conoscono molte cose sul golpe ne restano ancora tante su cui fare luce.

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