Dopo la Torres, il Tempio. Salvatore Sechi ha lasciato l’amore per i colori rossoblù sposando l’affetto nei confronti dei Galletti. Vicepresidente del club sassarese dal 1999 al 2006 (all’epoca gli azionisti erano il presidente Rinaldo Carta, lui e Peppino Sechi), 57 anni, imprenditore nel settore degli appalti degli impianti industriali, nel 2016 ha comprato il Tergu e ricostruito la matricola della Torres.

Gli è bastata una stagione per riportare il club dall’Eccellenza alla D, dove l’ha lasciata prima di cederla, due anni fa, al gruppo Abinsula. Quasi contestualmente ha acquistato il Tempio, che ora vorrebbe portare in Eccellenza. «Quando ho rifondato la Torres, il nome del club era perso», dice con orgoglio Sechi. «Potevo non farlo, ma l’ho dovuto fare perché nessuno ha mosso un dito. Ringrazio i tifosi della curva, anima disinteressata delle sorti della Torres, perché mi sono sempre stati vicini. Vedo una curva vicina e speranzosa anche adesso a Tempio».

Perché i Galletti?

«Dopo la ricostruzione dell’ultima Torres la mia intenzione era quella di ritornare al mio sport, l’aeromodellismo. Un amico però mi ha chiesto se potevo utilizzare nel Tempio l’organizzazione sportiva messa su alla Torres. Con la società gallurese, che militava in Prima categoria, ho da sempre un ottimo rapporto. Subito ho fatto in modo di portarla in Promozione attraverso il ripescaggio».

La Promozione è la base per un rilancio?

«E’ una categoria che non conoscevo. Ma vedo cose interessanti. Nella stagione scorsa la squadra è stata fatta in fretta e furia, ci siamo giocati fino all’ultimo il salti di categoria con il Calangianus. Ora siamo primi e speriamo di andare in Eccellenza, anche se il campionato presenta ancora molte insidie».

Quanto ancora c’è di torresino in lei?

«Sono sassarese in ciabi, purosangue. I miei colori sono da sempre rossoblù e lo saranno per sempre. Adesso però i miei interessi sono tutti rivolti al Tempio».

E’ mai più andato al “Vanni Sanna” per vedere la squadra?

«No. Tra l’altro è naturale e giusto che le responsabilità siano della nuova proprietà. Non lo escludo in futuro, ma ripeto, ora spero di portare il Tempio in Eccellenza. Come ho ricostruito la Torres, vorrei fare lo stesso con il Tempio».

Lei è stato vicepresidente quando la Torres sfiorò la B.

«Erano i primi Anni Duemila, perdemmo la partita chiave con l’Ascoli. Quell’undici aveva le motivazioni di squadra e le capacità tecniche per andare in B, è la Torres che ha visto più da vicino la cadetteria. Forse era addirittura più forte della Torres di Zola. Nel 1987 andavo in curva quando con noi giocava Gianfranco, ma la squadra era tutta centrata su lui. Karassavidis, Langella, Amoruso formavano un gruppo con una forza diffusa e una consapevolezza più forte. Aspiravano per davvero alla Serie B».

Categoria che anche l’attuale società, seppure in punta di piedi e in prospettiva, sostiene di voler inseguire.

«Una cosa ho imparato nel calcio: non si arriva da nessuna parte con i proclami. Le vittorie le ho ottenute con squadre buone ma non costruite per vincere. Quando si parte con i favori del pronostico, al contrario, ci sono sempre difficoltà. Lo dico anche in riferimento al mio Tempio: il campionato è ancora tutto da giocare».

Concludendo, un consiglio per i suoi “successori” alla Torres?

«Non voglio dare consigli a nessuno, ma un buon dirigente guarda al futuro con i piedi per terra».

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