Tornerà a Cagliari il primo aprile e batterlo non sarà uno scherzo. Il suo SüdTirol è quarto in classifica, tre punti sotto il Genoa e il secondo posto che vale la promozione diretta: «Se è un sogno – e lo è –  lasciateci sognare. Anche per questo tornerò per vincere, lo dico per il rispetto che ho per la maglia e per la gente sarda».

Pierpaolo Bisoli, lui sì, anche più di altri, del club rossoblù può definirsi Il Capitano. 

Ecco perché.

***

 Al Cagliari, da giocatore, ha dato sei anni e fischia di carriera, due gambe e il cuore. Da allenatore ci ha messo passione, non è riuscito però nell'intento di portare in alto la squadra. «Ma Nainggolan era già del Cesena e io ho convinto il presidente Cellino a tenerlo». In campo, Pierpaolo Bisoli era quello che si dannava più di tutti: dal 1991 al 1997, da Mazzone a Mazzone, passando per Giacomini, Giorgi, Tabarez, Trapattoni e Gregorio Perez. Quindi Ventura, che gli preferì Zanoncelli, e arrivarono i saluti dopo una lunga serie di campionati da favola sempre vissuta con la schiena alta e la schiena dritta. E lui, mediano alla Brigel (portento tedesco del Verona campione d'Italia), scovato nel Viareggio in Serie C2 da Carmine Longo durante la gestione degli Orrù, la maglia rossoblù ce l'ha ancora indosso, nonostante le vicissitudini del calcio l'abbiano portato altrove dopo aver conquistato salvezze epiche, una qualificazione e una semifinale di Coppa Uefa. Come sostengono alcuni suoi amici cagliaritani, ma con origini a Porretta Terme, il paese dell'attuale allenatore del SüdTirol, «tutto quello che ha, Pierpaolo se l'è conquistato con il lavoro». Il popolo rossoblù lo sa bene.

Due gambe, dicevamo, le ha regalate alla causa. Il 22 dicembre del 1996, Bisoli si fratturò tibia e perone in uno scontro con Schwarz a Firenze. Il 16 gennaio del 1994 aveva già donato l'altra gamba alla causa rossoblù, in uno scontro con Desideri, durante il match con l'Udinese. Quella volta, invece, sdrammatizzò: «Mia moglie è incinta, è come se lo fossi anch'io, partoriremo assieme». Aspettava Dimitri, attuale capitano del Brescia, che domenica scorsa ha realizzato la rete del pareggio nella sfida tra le Rondinelle e il Cagliari. 

«Più volte», dice il tecnico del SüdTirol, oggi cinquantaseienne, «è stato accostato ai rossoblù, ma non se n’è fatto nulla. Lui è nato a Cagliari, non vedeva l’ora di tornare. A Brescia sta benissimo con la famiglia, ha trovato lì la sua dimensione». Tuttavia la testa di Bisolone ora è in Alto Adige e al calcio offensivo che predilige per la sua squadra.

***

Bisoli, come si sta lassù?

«Premetto, l’obiettivo del SüdTirol resta la salvezza».

Sta scherzando?

«No. Perché quando sono arrivato ci davano per spacciati. La squadra, neopromossa, era ultima. Ora siamo a tre punti dal Genoa, con lo scontro diretto in casa, qui al “Druso”».

Giocherete in casa anche con il Bari, altro scontro diretto.

«E la mia squadra proverà a vincere, come fa in tutte le partite. Anche sabato a Parma. Giocheremo alla morte. Se poi ci qualificheremo per i playoff, faremo festa. Se non dovessimo riuscirci, invece, non vorrei che la grande stagione dei ragazzi fosse sminuita».

Anche contro il Cagliari vi attende uno scontro diretto.

«E verrò per vincere, cosa che in Serie B ho già fatto con il Perugia. Mi conoscete: è la mia mentalità. Sono un professionista, eppure mi affeziono ai luoghi in cui lavoro. A Bolzano c’è grande entusiasmo e si respira un’atmosfera sportiva d’altri tempi: qui esiste ancora il terzo tempo al termine delle partite, c’è un’alchimia bellissima tra società, calciatori e tifosi».

Dica la verità però: la Sardegna le è rimasta nel cuore.

«Ci mancherebbe. Sono nati a Cagliari i miei figli e ho giocato per il Cagliari sette anni. Ogni volta che torno è un tuffo nel passato, ma è un po’ come ritrovarsi a casa. Vale anche per la mia famiglia. La mia maglia, poi, è quella rossoblù per sempre e non posso che augurare al Cagliari di tornare dove deve stare: in Serie A».

All’andata ebbe qualche screzio con Lapadula e Nandez.

«Ci sta dopo un match giocato sul filo del rasoio. Ci stringeremo la mano alla Domus».

Lei ha conquistato la qualificazione alla Coppa Uefa e, per poco, non l’ha vinta.

«Ricordo gli oltre 3 mila sardi che, dalla Germania e dal Belgio, vennero a sostenerci durante la partita contro il Malines. Un’emozione fortissima, da pelle d’oca».

Qualche rammarico le resta, però.

«No. Sono anche diventato nonno di due bambini: la vita, non solo sportiva, mi ha riservato sempre tanto. So che la gente, in ogni città dove ho lavorato, mi vuole bene: mi hanno apprezzato come persona. Ma a Cagliari sì, sarei rimasto a vita».

A Bolzano ha voluto con sé Larrivey, i cui gol nell’ultima stagione sono stati decisivi per la salvezza del Cosenza ai playout di Serie B.

«È un giocatore di esperienza, che si sta mettendo in linea con il nostro metodo di allenamento e i ritmi del nostro gioco. L’anno scorso a Cosenza, altra città dove abbiamo fatto un miracolo – tutti: tifosi, squadra, club –, è stato un grande. Darà il suo apporto anche al SüdTirol, come tutti i ragazzi, che colgo l’occasione per ringraziare».

E il Cagliari?

«Saluti a tutti, ci vediamo il primo aprile».

© Riproduzione riservata