La potenza dell’entusiasmo. Il carisma dell’empatia. Il suono piacevole dei concetti, che arrivano al cuore perché partono dal cuore. Poi, se durante l’intervista ti fissano due occhi come quelli della piccola Vittoria, allora Massimiliano Rosolino da Napoli apre la sua porta col sorriso. Una vita di successo, di trionfi, amore e sacrifici, arrivi felici e sconfitte cocenti, lo sport sempre e comunque con passione, entusiasmo, il motore delle sue giornate. «Ho fatto cinquantamila chilometri in vasca, senza la passione non sarebbe accaduto». Uno dei nuotatori più forti della storia dello sport, bandiera italiana come poche, oggi – a 44 anni e un fisico da venticinquenne – è uno sportivo felice, un padre attento, uomo-immagine travolto dalle richieste, personaggio televisivo vincente perché vero, solare, ti prende senza volerlo. Sta per terminare le vacanze al Falkensteiner di Capo Boi, un resort dove il verde smeraldo del mare si fonde con quello della vegetazione. Lui, re delle piscine e della disponibilità, riesce perfino a dare qualche lezione di nuoto. Bimbi compresi.

Chi è Rosolino oggi?

«Dopo due settimane di vacanze, sono distrutto». Ride. «Sto con la famiglia, la mia routine è fatta di tanta bici all’alba verso Costa Rei, strade meravigliose. Questo mare, questi luoghi sono vitali e necessari. Sto bene, ho raccolto le pere, ho provato i fichi. Sono un uomo felice che si gode la famiglia. Mi concedo la pennichella a volte anche sotto l’ombrellone, ma sono l’ultimo a lasciare la spiaggia la sera».

Rosolino ieri secondo Rosolino.

«Per fare bene qualcosa devi rinunciare a tante altre. Ma quando quella “cosa” è un obiettivo e ti gratifica, è diverso: in bici, oggi, mi piacciono più le salite delle discese. Da ragazzo, il sabato a mezzanotte ero a letto, magari la domenica mattina ero di nuovo in piscina. Oggi sono ancora un professionista, un pizzico too much forse, però le strade sono due: o lo fai bene, oppure è solo un tentativo. Nessuno ha superpoteri, tutto arriva con l’allenamento. Ma non mi è mai pesato, neanche la routine durissima, perché tutto è impegnativo. Sono sempre stato pieno di euforia, di entusiasmo. Ho preso dai miei genitori, ultraottantenni, che superano tutto con l’humour. Ecco, io sono sempre stato pronto a gustarmi tutto, fin da piccolo. Non è un sacrificio, anche se sembra. E questo “costruirmi” mi ha dato la possibilità, oggi, di essere un brand ambassador, un testimonial, di lavorare con la Federnuoto, di fare un po’ di televisione. Senza essere bravissimo, sia chiaro, soprattutto nella corsa».

Era in tribuna agli Europei di Roma: divertimento, lavoro o passione?

«Tutto. Una grande fortuna, per me, essere lì. Le mie bambine mi chiedono spesso “ma che lavoro fai?” e questa volta erano con me e hanno vissuto quest’esperienza coinvolgente e meravigliosa. Ero lì perché quello è il mio mondo».

Perché l’Italia del nuoto va così bene?

«Abbiamo sempre avuto un grande istinto acquatico. Cronometro alla mano, è stato fantastico. La ragione più tecnica arriva dalla formazione: negli ultimi anni c’è stato un grosso investimento sugli allenatori. Oggi c’è gente che vuole fare proprio il tecnico, gente seria che si prepara e arriva con nozioni di altissimo livello. E abbiamo anche atleti come Paltrinieri e Ceccon che sono dei numeri uno e questo per il movimento è un grande vantaggio. In un Paese dove nelle scuole manca la cultura dello sport, è un risultato straordinario. Prima Tokyo, ora Roma, dall’atletica al calcio e il nuoto. Pilato, Quadarella, un’armata fortissima, che pensa già a Parigi, e non parliamo della pallanuoto, i tuffi, il sincro...».

Nostalgia canaglia o pace dei sensi, in vasca?

«Pace dei sensi mai, anche se ti rendi conto che quando fai una gara, oggi, di bici, corsa o altro, le rughe cominciano a sentirsi. Però se devi fare lo sportivo, lo devi fare bene. Ti piacerebbe metterti il costume da gara ogni giorno, ma devi pensare bene a cosa fare almeno sei mesi prima».

La Pellegrini sembra felice, senza nuoto: le ha fatto gli auguri per il matrimonio?

«Sì sì, certo, una bella dedica dalla spiaggia, qui a Capo Boi, a lei e a Matteo».

Perché Rosolino piace così tanto anche fuori dall’acqua?

«Secondo me, perché la gente ha bisogno di esempi positivi, di educazione. Siamo bombardati da personaggi diciamo di un’ecletticità surreale. Tutti – anche io – facciamo le foto ai piatti, ma io amo far vedere di me anche il sudore degli allenamenti all’alba, per esempio. E l’entusiasmo».

Chi ha avuto l’idea di una carriera televisiva?

«Nessuno, è arrivata. Lo sport ti dà quelle sicurezze che forse in altri canali non riusciresti a raggiungere. Lo sport ti forma. Anche oggi, che faccio delle cose in cui il rischio è pari alla voglia di tirarsi indietro, decido di rischiare sempre».

A proposito di rischi: ballare in tv è stato come nuotare in diretta mondiale?

«Da un lato, più divertente. A me di vincere “Ballando” non me ne fregava nulla, però di arrivare in fondo sì. Di imparare i dodici balli sì. Di fare bella figura anche. Avevo 28 anni, il mio contratto diceva che se questo avesse penalizzato il nuoto, me ne sarei andato. Ma ero organizzato come una macchina da guerra: fisioterapista, nutrizionista, lo sport mi ha aiutato, da “Pechino Express” dove le palle da tennis mi facevano superare le contratture, a “Ballando”».

Rosolino ragazzino sognava tutto questo, passato e presente, oppure nella sua testa di teen ager c’era altro?

«Ho sempre avuto sogni e obiettivi. Io prendevo una paghetta, 800 lire a settimana, e la mettevo da parte: la macchina telecomandata, il fucile da pesca, poi moto e auto usata. A 10 anni ho detto: farò l’Olimpiade. E poi l’ho vinta. Trovo giusto cercare di alimentare i sogni».

Cosa cambierebbe del reality dell’Isola? Cosa non vediamo che lei invece può osservare?

«L’Isola è una produzione mostruosa, ci sono 180 persone che ci lavorano giorno e notte. I concorrenti sono realmente stravolti, c’è gente che perde 20 chili, è durissima, qualcuno dorme tutto il giorno perché non ce la fa. Loro mi guardano come un essere di un altro mondo, con la richiesta implicita di aiutarli. Aumenterei le prove in acqua, magari...».

La sua storia d’amore e di vita con Natalia Titova ha commosso un po’ tutti, quando è cominciata. Descriva la sua famiglia.

«Siamo un po’ la famiglia Addams… le mie ragazze sono due nuotatrici, diverse e determinate. Non voglio tifare, quando vado a vederle, ma quando facciamo le sfide fra di noi, non le faccio vincere mai. Ho una famiglia bellissima, sono fortunato».

Il maestro Rosolino cosa consiglia a un genitore con un figlio piccolo?

«Lo sport deve far parte della vita, della quotidianità. Negli ultimi due anni abbiamo tolto lo sport ai ragazzi. Mi auguro che crescano tanti sportivi. Non con la cultura del successo, ma per provarci. Senza traguardi. Lo sport è un pasto lungo una vita. Facciamoli iniziare a quattro anni e che smettano a cento».

Cosa farà da grande?

«Gustiamoci tutte le giornate. Con calma. Domani vedremo. I due minuti delle Olimpiadi mi hanno cambiato la vita, due minuti che vogliono dire 20 mila chilometri in vasca. Non ho fretta».

Enrico Pilia

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