La fatica è che ciò che rende la corsa complessa e al contempo affascinante. Ma non solo: perché è proprio grazie allo sforzo a cui ci si sottopone che è possibile apprendere lezioni che vanno oltre l’aspetto prettamente sportivo. E se di fatica si parla, Mauro Abbate non ha avuto certo timore di ciò, correndo una maratona al giorno, per un totale di 350 chilometri in otto giorni, con uno scopo ben chiaro: portare avanti una campagna di sensibilizzazione verso la depressione, malattia che lui stesso ha avuto in due occasioni ma che è riuscito a sconfiggere proprio grazie allo sport, in particolare l’atletica leggera. Il progetto del trentacinquenne oristanese, mental coach e speaker,  ‘’Running Sardinia’’ è partito da Santa Teresa di Gallura il 19 aprile, davanti alla suggestiva Torre di Longosardo, sino all’Isola Rossa, da lì si è diretto verso Sassari, per poi attraversare Alghero, Bosa, Torre del Pozzo, Uras, Serrenti con arrivo in piazza Yenne a Cagliari il 26 aprile.

Una vera e propria impresa con il fine di mostrare la necessità di un’attenzione maggiore riguardo la depressione, malattia di cui – secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – soffrono in tutto il mondo 246 milioni di persone, tra le quali 2 milioni in Italia. Un’impresa la sua vissuta appieno passo dopo passo il cui ritmo, come sottolineato dal celebre scrittore David Grossman, si traduce in parole: parole di speranza e fiducia, che mostrano quanto la tenacia possa avere la meglio anche sugli ostacoli apparentemente insormontabili.

Abbate da cosa nasce la sua impresa?

«Nasce prima di tutto dal mio grande amore per lo sport e dalla consapevolezza del fatto che sia in grado di dare benefici notevoli non solamente a livello fisico ma, soprattutto, mentale. Questi 350 chilometri sono stati affrontati con l’obiettivo di fare capire che la depressione è una vera e propria malattia che non può assolutamente essere presa sotto gamba, non si tratta di un semplice stato d’animo non positivo: il mio obiettivo era quello di fare comprendere che non bisogna vergognarsi di stare poco bene, rimarcando che prendere consapevolezza di ciò è il primo passo per intraprendere un percorso in grado di portare alla risoluzione del problema. Troppo spesso le persone che hanno la depressione non sono consapevoli di quel che stanno vivendo e trascurano un male che, invece, deve essere affrontato subito».

Lei stesso ha avuto la depressione in due occasioni.

«Esattamente. Sono stati due momenti di  grande complessità, dove sono arrivato a pensare persino di togliermi la vita. Soprattutto la prima volta, circa cinque anni fa, fu parecchio difficile anche perché non sapevo con esattezza quello che mi stava succedendo. Pensavo si trattasse solamente di un po’ di spossatezza e di un po’ di malinconia, invece non era così. In entrambi i casi è stato fondamentale lo sport e il contatto con la natura. Sono state le mie armi vincenti».

Lei pratica anche nuoto e ciclismo, come mai ha scelto l’atletica per questa sfida?

«Perché l’atletica è stato il mio primo amore, l’ho scoperta a 13 anni e mi aiutò tantissimo per avere più fiducia nei miei mezzi quando ero adolescente: è una disciplina che mi ha sempre dato grande motivazione, è uno sport in grado di temprare il carattere e che sa offrire spunti di riflessione molto significativi».

A proposito di riflessioni: cosa ha pensato nei momenti più difficili quando correva?

«Mi ripetevo, talvolta a voce alta, di non mollare assolutamente. Perché la fatica e, in generale, il dolore sono qualcosa di passeggero».

Quali sono stati gli istanti in cui ha pensato di non farcela?

«Sicuramente durante il quarto giorno, mentre stavo per arrivare a Bosa: i primi due giorni ho dovuto fare, per motivi logistici legati al pernottamento, 50 km al posto di 42 quindi il mio corpo ne ha risentito, soprattutto tenendo conto del percorso che, nei pressi di Bosa, era decisamente ondulato».

Come ha preparato questo appuntamento?

«Ho corso tanto ma senza esagerare. Si parla di una media di circa 100 km alla settimana a cui ho unito 300 km di bici. Poi, tenendo conto del dislivello che avrei dovuto affrontare, ho fatto anche ripetute in salita che mi hanno dato una maggiore brillantezza».

Lei non è nuovo a imprese simili.

«Sì, diciamo che ho sempre amato mettermi alla prova così da superare i miei limiti: nel 2016, ad esempio, ho fatto il giro d’Europa in bici pedalando per 9000 chilometri, poi ho fatto anche il triathlon più lungo del mondo nel 2018: sono partito da Oristano in bici facendo 6000 km sino alla Norvegia, poi ho nuotato per 230 km sopra il circolo polare artico e, infine, ho corso per 1000 chilometri sino a Capo Nord».

Cosa consiglia a chi sospetta di avere una depressione?

«Prima di tutto è fondamentale rivolgersi subito al proprio medico di famiglia, che successivamente indirizzerà verso uno psicoterapeuta con cui si inizia a fare una serie di incontri, a seconda della gravità  della situazione verranno prescritti anche i farmaci. Poi, è essenziale dedicarsi allo sport: questo è un aspetto su cui, davvero, bisogna soffermarsi perché si rivela una grande risorsa contro la depressione».

Quali saranno i suoi prossimi progetti?

«Sicuramente tenere una serie di incontri dove parlerò della depressione con le Università, le scuole, le associazioni e chiunque deciderà di contattarmi. Spero, infatti, ci siano più occasioni di confronto possibile, soprattutto con i più giovani così da fare capire loro l’importanza della tematica. Poi, ho in mente anche un’altra impresa: sarà sempre di corsa, ma più faticosa. Ancora è presto per svelare i dettagli ma lo spirito sarà lo stesso: fare capire il valore dello sport e sottolineare quanto possa rivelarsi prezioso per superare gli istanti più difficili».

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