Udassi, la Torres e il sogno playoff
Il presidente del club sassarese: “L'organico è ottimo, stiamo disputando un campionato di vertice in Serie D”
Stefano Udassi (foto Argentino Tellini)
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Suo padre Angelo è stato uno dei più grandi talenti calcistici del calcio sardo anni Sessanta. Giocava mezzala a tutto campo e faceva anche gol. I geni della passione per il calcio sono stati trasferiti all'adorato figlio Stefano, classe 1970, sassarese, una lunga e prestigiosa carriera da centravanti, tra cui 10 anni nei professionisti (Torres e Olbia tra le altre). Forte di testa, valido tecnicamente, sempre in appoggio ai compagni, Stefano Udassi era il prototipo dell'attaccante moderno. Da allenatore ottimi risultati: 3 promozioni tra i Dilettanti. Poi la chiamata in serie D col Latte Dolce. Quest'estate un ruolo a sorpresa: Presidente del nuovo corso della Torres, la sua squadra del cuore, fortemente voluto dalla proprietà che ha rilevato la società. Una mansione sin qua svolta con grande competenza e professionalità.
Come si trova Stefano Udassi dietro la scrivania?
“Immagino che la mia chiamata a Presidente abbia sorpreso l'ambiente, ma di questa allettante proposta ringrazio di cuore la società che ha rilevato la squadra. In realtà però ho pensato ad un ruolo dirigenziale appena smesso di giocare. Inoltre i programmi e le ambizioni della nuovo corso mi hanno convinto ad accettare. E poi lavoro per la mia Sassari. Uno stimolo in più notevole”.
Dove può arrivare questa Torres?
“L'organico dei giocatori è ottimo, lo staff tecnico e dirigenziale pure. Stiamo disputando un campionato di vertice, all'altezza dei programmi. Il nostro obiettivo minimo sono i playoff ovviamente”.
Qual è il rapporto con la città e i tifosi?
“Sassari vuol dire innanzitutto Torres: un rapporto con la città che continua da tanti decenni, tra alti e bassi, come tutte le storie d'amore. Si respira quindi un rinnovato entusiasmo e soprattutto molto ottimismo. Contagiato alla squadra”.
Ora sembra ci sia molta attenzione anche per il settore giovanile.
“Certamente. Anche se abbiamo avuto poco tempo per organizzarlo. Ad ogni modo siamo già coperti in ogni settore, con tecnici preparati: dalla juniores sino agli esordienti e abbiamo anche la scuola calcio”.
Come giudica il livello del calcio giovanile sardo?
“Vorrei innanzitutto fare una premessa generale, che riguarda il calcio giovanile italiano professionistico, in cui vengono utilizzati troppi stranieri, che penalizzano i nostri giovani. Tornando al calcio sardo i talenti non sono mai mancati. Ma la pandemia è stata una mannaia: per molti ragazzi agonisti sono stati 2 anni a singhiozzo, che influiranno negativamente sulla loro crescita. E non solo sportiva. Speriamo se ne esca al più presto”.
Il calcio che ha praticato Udassi da calciatore è diverso da quello attuale?
“Penso di appartenere all'ultima generazione che da bambino giocava per strada. Tempi bellissimi. Noi ragazzi avevamo un grande rispetto per l'autorità. Ora l'approccio dei giovani al calcio e alla vita in generale è diverso. Per questo come tecnici o dirigenti bisogna essere più psicologi e adeguarsi ai tempi che cambiano”.
Cosa si può fare per migliorare il calcio sardo?
“Innanzitutto maggiore attenzione nelle scuole calcio, visto che il calcio di strada è scomparso. Specie nei primi anni curare la tecnica, le doti naturali e meno ore da dedicare alla tattica. Quest'ultima si può apprendere successivamente”.