Ingredienti naturali e tecniche che esaltino la materia senza snaturarla. Questa la cucina molecolare secondo uno dei suoi massimi interpreti, Ettore Bocchia, executive Chef al "Grand Hotel Villa Serbelloni" di Bellagio, sul lago di Como.

Bocchia è stato il primo a lanciare un menu italiano di cucina molecolare nel 2002 e a chi gli fa notare che per molti cucina molecolare è sinonimo di alchimie culinarie risponde senza mezzi termini: "Prendere una pentola d’acqua, metterla sul fuoco, aggiungere una porzione di spaghetti mentre in un’altra padella si prepara il sugo: già questa è cucina molecolare. Semplicemente è un nuovo linguaggio in cucina e si propone di sviluppare nuove tecniche e di creare nuovi piatti restando saldamente ad alcuni semplici principi. Per esempio, ogni novità deve ampliare, non distruggere, la tradizione gastronomica. Poi le nuove tecniche e i nuovi piatti devono valorizzare gli ingredienti naturali e le materie prime di qualità. Ci deve essere anche attenzione ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia, non solo agli aspetti estetici e organolettici".

Niente alchimie e alambicchi allora?

"Più che altro la cucina molecolare realizza i suoi scopi cercando nuove composizioni, nuove tessiture grazie alla conoscenza delle proprietà fisiche e chimiche degli ingredienti. La tecnologia è in continua evoluzione e, come dice il filosofo Emanuele Severino, diventeremo tutti ipertecnologici. Quindi è fondamentale guardare anche in quella direzione".

Che legame rimane tra tradizione e innovazione?

"La tradizione è un esperimento ben riuscito, un esperimento che oggi viene portato avanti con tecniche moderne".

Si parla molto di cucina e cibo. Ma stiamo acquisendo realmente una cultura dell’alimentazione?

"Si cavalca molto la moda. Eppure la cultura di un popolo si vede da quello che mangia. La cultura del cibo è fondamentale. In questo senso vado già oltre la cucina molecolare perché mi interessa non solo come viene cucinata una materia prima ma anche come viene coltivato un vegetale o alimentato un animale e come viene trattato. Anche questo è fondamentale da un punto di vista molecolare: cambia il risultato se l’animale non è allevato bene e il concime non è dato come Dio comanda".

Cosa si costruisce buona cultura alimentare?

"Dando il giusto valore alla terra e ritrovando il legame con il mondo agricolo. E rendendoci conto quanto sia importante quello che mettiamo in bocca. Noi siamo fondamentalmente delle macchine che devono ingerire il cibo. Migliore è il cibo e meglio la macchina funziona. Il cibo deve essere prodotto con un approccio etico e non di business. E dobbiamo conoscere come viene prodotto. Magari uno non mangia la carne perché pensa sia più sano essere vegano e poi ignora la provenienza dei vegetali".

È vero che c’è una omologazione nel gusto?

"A livello tattile, sensoriale e dei gusti primari, l’industria ha creato, secondo il mio punto di vista, un finto approccio alla cucina. Quindi? Bisogna imparare a capire quello che si sta mangiando e ritrovare quella che io chiamo l’autentica essenza dell’invisibile, il sapore che dà piacere, quella sensazione impalpabile che scatta mettendo un determinato cibo in bocca. Io mi alleno per questo, lo faccio per lavoro e nel posto in cui opero voglio dare al cliente il massimo di quello che si trova sul mercato. La mia bocca è garanzia per tutti quelli che vengono a mangiare da me. Io non faccio esercizio stilistico nel piatto. Non mi interessa far vedere che lo chef ha studiato bene le cromaticità e le geometrie e il linguaggio del marketing del cibo visivo. Certo, l’occhio vuole la sua parte, ma il capolavoro sta nel prodotto che tu stai mettendo nel tuo corpo. Questa è la cosa importante: non l’estetica, ma l’etica che c’è nel piatto".

Il Km zero è fondamentale?

"Per me non ci sono limiti e limitazioni di sorta nell’acquistare un prodotto e la materia prima. La sostenibilità va bene e uso ben volentieri materie prime della zona. Non posso, però, pensare di non utilizzare un tartufo melanosporum australiano perché sono talebanizzato dal Km zero. Ho un’apertura mentale a 360˚ ma nello stesso tempo ho una chiusura mentale assoluta per quanto riguarda la scelta del prodotto, che deve essere della massima qualità, dovunque venga. Questo è un principio da cui non mi muovo".

Roberto Roveda

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