Il primo ingaggio a teatro? “Fu un caso”. Il sodalizio con Domenico Modugno? “Nato grazie al caso”. A sentire Enrica Bonaccorti, 71 anni di cui cinquanta trascorsi davanti a una telecamera, persino una medaglia vinta in Sardegna nel lancio del disco è arrivata grazie al caso. “Io lo scrivo con la C maiuscola, perché è quello che ha contraddistinto alcune tappe fondamentali della mia vita”. 

Tanta fortuna e tanta bravura però, se è diventata una delle conduttrici più iconiche di una generazione, dal programma "Ciao Enrica” a “Cari genitori”. Passando dal rivoluzionario  (e controverso) “Non è la Rai” dove smascherò la “truffa del cruciverbone”, con quel “non ti ho fatto nessuna domanda” alla giocatrice da casa che è rimasto nella storia del piccolo schermo.

Ma Enrica Bonaccorti è stata anche attrice di sceneggiati (come in “Eleonora” nel 1973 accanto a Giulietta Masina e ne “L'amaro caso della baronessa di Carini” nel 1975), speaker radiofonica, opinionista e autrice di meravigliosi testi come “La lontananza” e “Amara terra mia”. “Che nei miei diari si chiamava ‘Sardegna terra mia’”, racconta a Unionesarda.it. Perché i capolavori cantati da Domenico Modugno sono nati proprio dalle suggestioni di quando ha vissuto in Sardegna. 

Aveva solo 13 anni quando, con un papà ufficiale di pubblica sicurezza, tutta la famiglia lasciò la caserma di Genova per trasferirsi a Sassari. 

Che ricordi ha della Sardegna?

“Tra i più belli della mia vita. Anche se all’inizio, venendo da una caserma, era tutto molto strano. A Genova ero la figlia del comandante con tutti i privilegi che ne conseguivano. I biglietti per il cinema, l’autista, anche le chiamate erano gratis. Tutte cose che sono sparite di colpo quando ci siamo spostati in una casa normale. A Sassari ho scoperto la vita vera e mi sono sentita dire per la prima volta: ‘Basta col telefono, costa’. Piazza Italia era come Times Square. A Sassari ho anche avuto la prima cotta”.

Enrica Bonaccorti in Sardegna (foto Instagram)
Enrica Bonaccorti in Sardegna (foto Instagram)
Enrica Bonaccorti in Sardegna (foto Instagram)

Di chi si era innamorata?

“Di un ragazzo non sardo ma che si era trasferito con la famiglia a Sassari. Lo porto ancora nel cuore”.

Dove trascorreva le vacanze?

"D’estate con mio padre e mia madre (sono figlia unica) affittavamo sempre una casa ad Alghero. Poi si andava a Stintino e a Platamona. Ma ricordo con piacere anche una gita al Poetto”. 

Ai campionati regionali sardi vinse una medaglia d’argento nel lancio del disco. Aveva una passione per questa disciplina?

“No, per niente. Mi hanno messo lì tre giorni prima perché mancava un numero. Io sapevo fare giusto i piegamenti... Sarà stato un angelo a prendere quel disco e a fargli fare un volo di 34 metri. Arrivai seconda dietro a una ragazza di Cagliari: era bella forzuta mentre io ero uno stecchino. Conservo quella medaglia con grande gioia e orgoglio. Anche con un po’ di imbarazzo, a dire la verità, perché non sono per nulla una sportiva”.

Il padre Ettore Bonaccorti (foto Instagram)
Il padre Ettore Bonaccorti (foto Instagram)
Il padre Ettore Bonaccorti (foto Instagram)

Quando si è trasferita a Roma?

“Avevo quasi sedici anni”.

Torna spesso nell’Isola?

“No perché non prendo l’aereo. Sono stata invitata diverse volte, mi hanno assegnato anche due premi in Sardegna. Ma non ho potuto prenderli. Però ce l’ho nel cuore, tutta”.

Come è iniziata la sua avventura in teatro?

“Avevo la passione, fra le varie, del teatro. Li giravo tutti, o meglio: tutti quelli in cui era possibile seguire le prove. Un giorno qualcuno disse che un’attrice si era fatta male. Io alzai la mano: ‘Ci posso provare?’. Non fu facile, perché non ero iscritta ad alcuna accademia. Ho fatto il provino e mi hanno presa. E da lì è iniziato tutto”.

Con Domenico Modugno (foto Instagram)
Con Domenico Modugno (foto Instagram)
Con Domenico Modugno (foto Instagram)

Come ha conosciuto Modugno?

“Un giorno mi chiamarono a casa. Rispose mio padre: l’appunto che prese è uno degli ultimi ricordi che ho di lui, perché morì poco tempo dopo. Dovevo presentarmi al Teatro de’ Servi. Io avevo appena iniziato a fare teatro, non capivo chi potesse cercare proprio me. E invece una sera, a guardarmi tra il pubblico, c’era un amministratore di Modugno: mi aveva notato e aveva chiesto il mio numero”.

E Modugno?

"Era un grande, da lui ho imparato tanto. Al di là del successo de ‘La lontananza’ e ‘Amara terra mia’, tratte dai diari che tenevo in Sardegna, credo che insieme avremmo potuto fare ancora di più". 

Quando è arrivata la televisione?

"Subito, nel 1971. Iniziai con gli sceneggiati mentre la mia prima conduzione arrivò nel ‘78. Anche in quel caso feci un provino, non avevo nessuno che mi spingeva”.

(foto Instagram)
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Il suo primo programma?

"E’ stato ‘Il sesso forte’. Un programma d’avanguardia perché era la prima volta che la Rai comprava un format dall’America. Non ebbe molta eco, era un primo tentativo, tanto che continuai con la radio e il teatro. E anche un po’ di cinema: tre pose, quanto bastava per guadagnare quello che col teatro avrebbe richiesto un mese. La svolta è arrivata nel 1983”. 

Cosa accadde?

“Mi chiamarono per riempire un buco tra due giornalisti, Piero Badaloni e Mino Damato. Dovevo essere la classica bella presenza. Ma le cose andarono diversamente, anche questa volta per caso. Badaloni decise di dedicarsi solo al telegiornale e di non condurre più il programma. Restai da sola con Damato e il mio ruolo chiaramente divenne molto più rilevante. Anche per il tipo di carattere che ho io. Sono sempre stata molto estroversa. Parlavo, non stavo zitta. La faccio breve: dopo pochi mesi avevo vinto il mio primo Telegatto”.

Quell’anno dichiarò in Rai in diretta di essere incinta e la cosa sollevò molte polemiche. Perché?

“Tuttora le mie colleghe non capiscono cosa accadde”. 

Ci aiuta a capirlo?

“Una come me all’epoca era un elemento di rottura. Non ero formale o primadonna, ero ‘friendly’, si direbbe oggi, molto disinvolta. Sulla mia gravidanza girava la voce, avevo preso molti chili. E allora pensai: ‘Sai che c'è? Io lo dico, non c’è niente da nascondere’. Lo feci trenta secondi prima di dare la linea al Tg, proprio per non dare troppo spazio alla cosa. Non bastò, fu una tragedia. Anche perché a due ore dall’annuncio, in camerino ho avuto un’emorragia fatale, terribile. Dato che questo non si sapeva, i cari colleghi hanno iniziato a scrivere cose molto pesanti che ho letto dalla clinica in cui mi avevano portato con l’ambulanza. Il bambino l’ho perso un mese dopo. Aveva quattro mesi”.

Cosa scrissero?

“Che se avevo fatto questo annuncio in diretta allora volevo anche partorire in diretta o far vedere l’ecografia in diretta. Cose all’epoca blasfeme. E che oggi si fanno tranquillamente, con un eccesso a mio parere opposto”.

L’azienda la difese?

"No, fece finta di niente”.

Questo episodio lo pagò caro…

"Sì. Improvvisamente non avevo più nulla. Era scaduto il contratto, non lavoravo più, saltò anche Domenica In”. 

Ed è allora che è arrivata Mediaset e la conduzione di “Non è la Rai”.

“Era da tempo che la rete mi stava inseguendo. Quella fu l’occasione giusta: per la prima volta Mediaset poteva andare in onda live. Berlusconi mi chiamò in persona e mi fece la proposta. Mi disse ‘Andiamo in diretta, ho bisogno di lei. Vedrà che sarà un successo’. Fu così”. 

Ai tempi di "Non è la Rai" (foto Instagram)
Ai tempi di "Non è la Rai" (foto Instagram)
Ai tempi di "Non è la Rai" (foto Instagram)

All’epoca “Non è la Rai” attirava tante critiche dalle femministe. Le meritava?

“No, non c’era nulla di male. Quelle ragazzine non potevano neanche truccarsi, erano acqua e sapone. La malizia è negli occhi di chi guarda. Io ero molto attenta a queste cose: in un unico episodio alzai la voce”. 

Quale?

"Mi si parò davanti una bambina di quattro anni che avevano conciato come le ballerine. La feci uscire e rientrare col vestitino con cui era arrivata. Se avessi visto qualcosa che non andava lo avreste saputo. L’episodio della ‘truffa del cruciverbone’ parla da sé”.

Si dice che la rete la rimproverò per non aver glissato su quell'episodio. E’ vero?

“Sì”. 

Con Giancarlo Magalli e Gianni Boncompagni (foto Instagram)
Con Giancarlo Magalli e Gianni Boncompagni (foto Instagram)
Con Giancarlo Magalli e Gianni Boncompagni (foto Instagram)

Che ricordo ha di Gianni Boncompagni?

“Un genio. Ma dovevi essere nelle sue grazie o venivi tagliato fuori. Io gli ho voluto bene. Secondo me più io a lui che lui a me”.

Ha cresciuto sua figlia Verdiana da sola con l’aiuto di sua madre. Che cos’è per lei la famiglia?

“Penso che la famiglia ‘tradizionale’, ossia madre, padre, quattro nonni e tanti cugini, può essere una fortuna ma non è detto che sia perfetta. Quanti casi di violenza emergono proprio da famiglie come quelle. Ci attacchiamo a parole che non hanno senso. Ognuno è un caso a sé e si può essere felici senza regole e ruoli predefiniti”. 

Era favorevole al Ddl Zan?

“Penso che sia meglio dare diritti che toglierli. Poteva essere un'occasione”.

(foto Instagram)
(foto Instagram)
(foto Instagram)

Lei ha subito violenze?

“Quale bambina, quale ragazzina non ne è stata vittima? Solo quelle più fortunate. A me è successo come a mille altre persone. Anche io ho vissuto quella sensazione di irrigidimento, quell’incapacità di ribellarmi. All’epoca si pensava che fosse necessario abbozzare, sopportare e non denunciare. Guai a dirlo a qualcuno. Come potevamo dire che l’amico di papà o l’amico di mamma o il dottore ci aveva messo le mani addosso? Siamo state tutte zitte o rovinavamo la famiglia”.

Ora è diverso?

"Credo di sì. E’ ancora molto difficile farsi credere, ma all’epoca era impossibile”.

Nella televisione italiana c’era (o c’è) una modalità “Harvey Weinstein”?

"C’è. Ma non solo nel mondo dello spettacolo”. 

Lei si sente femminista?

“Io sono femminista. Ho sempre pensato che fosse una bellissima parola. Anche quando mi guardavano male, deridendomi. Però devo dire che oggi credo che questa parola venga vissuta in modo sbagliato dalle nuove generazioni”.

Cosa c’è di sbagliato?

"Sinceramente non ho fatto i cortei, non ho preso le botte perché una donna potesse copiare il peggio del maschilismo. Ma perché potesse avere più diritti”. 

Qual è a suo parere la battaglia più importante per la parità di genere?

“Non quella ipocrita delle parole. Ma la parità di stipendio, la possibilità di rispondere a testa alta a chi ci dice cose sbagliate. Il diritto di non essere soggette a ritorsioni perché vogliamo fare un figlio. Le donne spesso non sono così attrezzate e non sanno quali sono i loro diritti, a parte quello che sentono dalle loro amiche o dalla televisione. Ma a volte sono solo consolazioni. Servono leggi chiare e non vaghe, punto”.

Il patriarcato oggi è più debole?

“Mi sembra di sì. Ma ci sono ancora situazioni in cui gli uomini fanno il bello e il cattivo tempo. E’ tutta una questione di educazione. Nei primi anni di vita bisogna insegnare ai bambini a non essere prevaricatori ma persone gentili”.

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