«Da bambina ero già fissata con computer, algoritmi e videogiochi. Sono una nerd», ride Daniela Ghironi, 38 anni, cagliaritana, numero uno del team che ha creato il server di Immuni e dipendente - anche se forse è più corretto dire membro della tribù - di Bending Spoons, azienda tech milanese (150 buste paga, età media 29 anni, fatturato di 90 milioni di euro) che crea app di culto, tra le prime al mondo per numero di download, scelta anche quest'anno come "Best workplace in Italia", cioè luogo migliore in cui lavorare.

Si presenti.

«Sono nata e cresciuta a due passi dal Cep. I miei genitori, che vivevano a Cagliari, sono morti di recente, ho una sorella più grande che fa la missionaria in Brasile. Ho studiato al Pacinotti, indirizzo informatica e poi mi sono laureata all'Università di Cagliari in Informatica. Sono sposata con un programmatore, un compagno di facoltà».

Da cosa nasce questa passione?

«Fin da bambina avevo il pallino della tecnologia, mai interessata alle bambole. Mi hanno sempre considerato tutti un po' strana. Poi mio padre mi ha regalato il Commodore 16, la consolle da collegare alla tv, con un libro che spiegava come ricopiare i codici e realizzare videogiochi. Da lì è stato amore vero».

Ed è diventato il suo lavoro.

«Ho iniziato a lavorare a 16 anni in una piccolissima impresa che faceva siti web; dal 2005 al 2014 al Crs4; ancora, nella sede di Lugano di una multinazionale del settore medicale e, dal 2016, sono a Bending Spoons, la più anziana, e ho il ruolo di Technical leader, coordino un team di dieci software engineers».

Cosa fate?

«Sviluppiamo software per l'analisi dei dati, ad esempio, quanti utenti usano una certa app, per quanto tempo, quali funzionalità piacciono di più. Informazioni che in seguito vengono analizzate da un altro gruppo di colleghi, e servono per migliorare e sviluppare il prodotto».

Ora è arrivata Immuni.

«Negli ultimi tre mesi ho guidato la squadra di quattro persone che si è occupata dello sviluppo del server di Immuni».

Com'è nata l'idea?

«L'input è arrivato dai fondatori della società, si è pensato a uno strumento a supporto di quello che già avviene, il contact tracing. Quando c'è un positivo al coronavirus i medici chiedono di ricostruire la catena dei contatti, un processo lasciato alla memoria del paziente, quindi spesso incompleto. Noi abbiamo pensato di automatizzarlo, che la tecnologia potesse essere d'aiuto».

Ci sono state molte polemiche.

«Sì, soprattutto per la privacy, e questo fa sorridere dato che comunque le autorità sanitarie chiedono nomi e cognomi delle persone che hanno incontrato i contagiati. Sui social ci sono arrivati alcuni insulti, ma anche moltissimi segnali di apprezzamento. Noi ci siamo spesi anima e corpo per fare qualcosa di buono, è stata una cosa pazzesca, e senza guadagnarci nulla».

Come sta andando Immuni?

«La gestione della app è in mano al ministero della Salute, non abbiamo accesso ai dati, lavoriamo solo all'implementazione».

Cosa vuol dire lavorare nell'azienda migliore?

«Intanto vorrei sottolineare che il riconoscimento è reale, ne siamo molto fieri, la classifica è data da sondaggi anonimi ai dipendenti».

Cos'ha Bending Spoons di speciale?

«La cosa più importante è la totale fiducia. Abbiamo la libertà di organizzarci come preferiamo, se lavorare da casa o in ufficio, non ci sono orari da rispettare, le ferie non si chiedono a un superiore. Ci sono le aree relax, dove si può mangiare a tutte le ore, giocare a ping pong, a biliardino, ai videogiochi, leggere e riposare. Poi ci sono i famosi retreat aziendali».

I viaggi.

«Prima si faceva ogni anno un mese di ritiro all'estero tutti insieme, alternando lavoro e gite. Adesso si fa un grande ritiro, soltanto di svago (a gennaio è stata la volta di Bali) e un altro, di solito a ottobre (che salterà) in gruppi ristretti in luoghi diversi».

In vacanza con i colleghi. Mah...

«L'obiettivo è legare, essere amici, divertirsi, coltivare relazioni, aiutarsi l'un l'altro. La produttività sale alle stelle, e tutti sono felici».

Cristina Cossu

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