Quella che dovrebbe essere un’attività di routine, da svolgere almeno una volta a settimana, viene troppo spesso sottovalutata, nella convinzione che, in assenza di sintomi precisi, non ci sia nulla di cui doversi preoccupare. Proprio per questo motivo l’ipertensione è giudicata dagli esperti in campo medico una delle condizioni più serie: i mancati controlli periodici, che potrebbero essere effettuati comodamente in casa con un macchinario alla portata di tutti oppure in farmacia, la rendono estremamente pericolosa. Non a caso, viene definita il “killer silenzioso”: rimane asintomatica finché non inizia a condizionare gravemente un organo vitale.

La patologia

La patologia è da prassi classificata in primaria e secondaria. La primaria è legata a cause ancora ignote: i cambiamenti nel cuore e nei vasi sanguigni possono combinarsi e provocare un aumento della pressione. L’incremento della gittata cardiaca (il termine tecnico che indica la quantità di sangue pompata al minuto) e la crescita delle resistenze al flusso sanguigno a seguito di un restringimento dei vasi sono tra i fattori più frequenti di innesco dell’ipertensione primaria. Le ragioni delle variazioni sarebbero da ricondurre a un’anomalia ereditaria della vasocostrizione delle arteriole che aiutano a controllare la pressione.  L’ipertensione secondaria, che secondo le stime riguarda tra il 5 e il 10% dei soggetti ipertesi, presenta una causa evidente. In molti pazienti, alla base c’è una malattia renale: il danno renale può compromettere la capacità di eliminare il sodio e l’acqua dall’organismo, aumentando di conseguenza la pressione. Le patologie renali più frequenti sono la malattia del rene policistico, la stenosi dell’arteria renale, le infiammazioni o i tumori renali. Solo in pochissimi casi l’ipertensione secondaria è dovuta a ragioni differenti, come il disturbo ormonale o l’utilizzo eccessivo di farmaci che possono provocare ipertensione.

I fattori di rischio

Esistono diversi fattori di rischio sui quali è possibile intervenire, mentre altri sono i cosiddetti fattori non modificabili. Tra questi ultimi si ricorda, prima di tutto, la familiarità, ovvero la presenza della malattia  tra i componenti del proprio nucleo familiare. Inoltre l’ipertensione è più diffusa tra gli anziani, come conseguenza inevitabile dell’irrigidimento fisiologico dei vasi arteriosi. Discorso ben diverso riguarda i fattori di rischio legati allo stile di vita. L’eccesso di massa grassa è spesso associato a un incremento dei valori, così come il fumo. In quest’ultimo caso, l’effetto dell’incremento pressorio è immediato: dopo aver fumato, la pressione rimane più alta per circa mezz’ora.

***

Ipertensione, arrivare alla diagnosi grazie ai test periodici

Arrivare alla diagnosi precoce di ipertensione è fondamentale per combatterla, con l’introduzione di soluzioni farmacologiche oppure con un cambio di regime alimentare e stile di vita ove possibile, e per riportare il soggetto iperteso a una condizione di normalità. La diagnosi si basa sulla rilevazione della pressione arteriosa, effettuata con lo sfigmomanometro.

Due i valori da controllare: il più alto (pressione sistolica) riguarda la pressione nelle arterie più elevata raggiunta durante la contrazione cardiaca; quello minore, invece, indica la pressione più bassa (diastolica) raggiunta subito prima che il cuore inizi una nuova contrazione.  

I riferimenti

I parametri devono lanciare un campanello d’allarme definito “urgenza ipertensiva” quando il valore della “pressione minima” è superiore a 120 mmHg (millimetri di mercurio), senza però generare problematiche importanti alle parti del corpo. Si parla invece di “emergenza ipertensiva” quando la pressione ha già danneggiato uno o più organi vitali. In generale, è opportuno segnalare l’anomalia al proprio medico curante se le rilevazioni evidenziano valori superiori a 140 mmHg di “massima” e 90 mmHg di “minima”: è infatti questa la soglia indicata dall’Organizzazione mondiale della sanità per indicare l’ipertensione.

La misurazione

Per giungere a una diagnosi non è sufficiente un controllo casuale, ma è necessario seguire una procedura specifica e tenere sotto controllo la pressione per un dato periodo di tempo. La misurazione, in particolare, deve essere effettuata in posizione seduta, dopo 5 minuti di riposo: il soggetto non deve aver svolto alcuna attività fisica, assunto caffeina o fumato almeno 30 minuti prima della rilevazione. Se lo specialista ipotizza la presenza dell’ipertensione arteriosa, procederà con una nuova misurazione durante la stessa visita e anche nei giorni successivi. Avere un quadro complessivo delle letture è un fattore decisivo per procedere alla diagnosi di ipertensione e all’individuazione della terapia più adatta per il singolo soggetto.

Sintomi e conseguenze

Pur essendo generalmente asintomatica, la scienza medica negli ultimi anni sta cercando di capire se alcuni sintomi possono essere un segnale d’allarme della presenza di uno stato ipertensivo: cefalea, capogiri, affaticamento ed epistassi. Sono segnali che possono essere frequenti anche nei normotesi e per questo motivo il dibattito è ancora aperto. Riuscire a individuarli per tempo significherebbe aumentare la prospettiva di vita. Se non curata, infatti, l’ipertensione può danneggiare cervello, occhi, cuore e reni. Talvolta provoca un edema cerebrale, che a sua volta origina nausea, vomito, stati confusionali, crisi convulsive e sonnolenza. In questi casi, si parla di encefalopatia ipertensiva. Una grave ipertensione può poi provocare respiro affannoso e dolore toracico. La sussistenza dell’ipertensione è ritenuta fattore scatenante di ictus, aneurisma, insufficienza cardiaca, attacco cardiaco e malattia renale cronica. Per questo motivo, l’importanza della diagnosi precoce è cruciale secondo gli esperti: arginare l’ipertensione può evitare patologie spesso letali.

***

L’incidenza: un over 74 su due soffre di ipertensione

In Italia l’ipertensione è una patologia decisamente diffusa. Secondo le ultime stime del ministero della Salute, aggiornate alla fine di settembre del 2022, i soggetti ipertesi presenti nel nostro Paese sono il 18% della popolazione adulta, con una prevalenza che aumenta in maniera progressiva con la crescita dell’età: un italiano su due con più di 74 anni soffre di ipertensione. In tutto questo, bisogna tenere in considerazione l’atipicità della patologia: è infatti difficile da diagnosticare se non si fanno controlli, e la percentuale potrebbe essere decisamente più alta. Per questa ragione, nell’ultimo decennio le stime hanno portato a suggerire la presenza di all’incirca un italiano su tre soggetto a ipertensione: ciononostante, al momento il ministero della Salute si attiene alle cifre di diagnosi ufficiali, che riferiscono di un’incidenza del 18% sulla popolazione. Dati che a livello mondiale si mantengono all’incirca su questa percentuale: le stime risalenti al 2021, pubblicate sulla rivista Lancet in seguito a una mastodontica ricerca realizzata dalla “Non communicable disease risk factor collaboration” in ben 184 Paesi del mondo, riferivano di 1,2 miliardi di persone affette da ipertensione.

La cosa allarmante emersa dallo studio della NCD-RisC è che il 53% delle donne e il 62% degli uomini, pur avendo ricevuto una diagnosi e una adeguata terapia, decide di non sottoporsi alle cure, ignorando la condizione.

Come conviverci

Convivere con l’ipertensione è possibile. Affrontare questa condizione con serenità e consapevolezza significa migliorare il proprio stile di vita adottando abitudini di vita salutari, cui affiancare una terapia farmacologica il cui scopo è proprio quello di normalizzare la pressione arteriosa. Per il paziente iperteso, la terapia è generalmente cronica: la pressione viene tenuta sotto controllo nel tempo al fine di verificarne il corretto andamento.

© Riproduzione riservata