Crampi alla pancia. Diarrea, a volte con sangue. E poi ci si sente stanchi, si fa fatica a fare ogni cosa. Se questi problemi si mantengono nel tempo, parlatene con il medico. E non pensate subito e solo al classico colon irritabile e allo stress. A volte, infatti, questi disturbi sono i primi segni di una patologia infiammatoria cronica dell’intestino (meglio note con la sigla MICI), come la malattia di Crohn o la colite ulcerosa. Sono circa 4500 le persone che in Sardegna fanno i conti con questa condizione, che per fortuna, grazie alla ricerca, possono essere trattati con sempre maggior successo.

A spiegarlo, con tante informazioni utili per l’accesso alla diagnosi e alle cure, sono gli esperti che hanno preso parte su Videolina alla trasmissione “Speciale Ippocrate” dedicata a queste patologie. Insieme a Luca Neri e Federico Mereta, a fare da guida, Carlo Doria - Assessore regionale dell'Igiene e Sanità e dell'Assistenza Sociale, Salvatore Leone, Direttore Generale di AMICI (Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino) Italia, Luigi Cugia, Direttore sanitario dell’Ospedale di Sassari, e Giammarco Mocci, specialista della Struttura Complessa di Gastroenterologia dell’ospedale Arnas-Brotzu di Cagliari.

L’importante è non nascondere i sintomi ma parlarne con il medico, per iniziare un percorso diagnostico. «Riconoscere una MICI precocemente è importante perché eventuali ritardi aumentano il rischio di complicanze, peggiorando la qualità di vita delle persone che ne sono affette – fa sapere Mocci. Questo conta anche sul fronte delle cure, anche le più moderne, in una logica di personalizzazione della terapia: i trattamenti che abbiamo a disposizione funzionano meglio se iniziate in una fase precoce di malattia».

Arrivare presto, insomma, è fondamentale. Sapendo che in Sardegna, caso per caso, si può attivare il trattamento mirato, dai farmaci più “leggeri” fino agli anticorpi monoclonali o alle piccole molecole, per arrivare quando necessario all’intervento chirurgico. «L’importante è non curare solo la malattia ma la persona, con una presa in carico efficace ed efficiente, che comprenda anche la famiglia – fa notare Leone. Come Associazione abbiamo rilevato che la diagnosi nel 14% dei pazienti arriva dopo oltre cinque anni, che in quattro casi su dieci il paziente viene ricoverato almeno una volta negli ultimi cinque anni, che nel 71% dei casi ha dovuto assentarsi dal lavoro per la malattia e che una persona su cinque ha segnalato discriminazioni sul lavoro per la patologia».

È fondamentale che la situazione si modifichi in meglio: è importante che si faccia riferimento a centri specializzati nella cura di questi problemi, con esperienza specifica, che i percorsi di cura vengano standardizzati, che vengano aggiornati i Lea e che ci sia sempre più attenzione alla qualità della vita.

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