Capita spesso di sentire utilizzare il termine “stress” in maniera non del tutto centrata, come se fosse una condizione quasi quotidiana e non una condizione patologica a tutti gli effetti. Lo stress vero e proprio è infatti una reazione psicofisica ben precisa, con dei sintomi definiti che vengono attivati in seguito a delle sollecitazioni imposte dall’esterno. Se diventa eccessivo, può generare delle conseguenze dannose per la salute. Lo stress, innanzitutto, si divide in due sotto categorie: lo stress cronico e lo stress acuto. Si parla di stress acuto quando compare come conseguenza diretta di una situazione o di un determinato evento; è invece cronico nel momento in cui è il risultato di una esposizione ripetuta a situazioni stressanti.

Sintomatologia

La sintomatologia tra stress acuto e stress cronico presenta alcuni tratti sovrapposti: su tutti, l’irritabilità, il senso di rabbia, la difficoltà di concentrazione e i disturbi d’ansia. Nei casi di stress cronico, questi sintomi durano più a lungo e per questo motivo diventano meno facili da gestire per il soggetto che ne è affetto, fiaccato e logorato da questo mix di sintomi. Gli sbalzi d’umore sono tipici dello stress acuto, mentre una sensazione di rabbia e la tendenza a incappare nell’isolamento e, di conseguenza, in uno stato depressivo, rappresentano invece un quadro complessivo caratteristico dello stress cronico, che nel corso del tempo può portare anche a diverse complicazioni di natura molto seria: aumento o perdita di peso, ipertensione, problemi della pelle, calo del desiderio sessuale, problemi digestivi, malattie del cuore.

Il ruolo degli ormoni

A giocare un ruolo fondamentale nello stress, acuto o cronico che sia, sono gli ormoni: di fronte a eventi “stressanti”, infatti, si verificano delle reazioni biochimiche che portano le ghiandole surrenali a produrre una maggiore quantità di adrenalina e cortisolo. La prima sostanza mette in azione i sensi e aumenta la resa della risposta dell’organismo, la seconda va invece a inibire le funzioni corporee non indispensabili nel breve periodo, garantendo il massimo sostegno agli organi vitali, e incrementa la quantità di energia. Questo tipo di iperproduzione di adrenalina e cortisolo, alla lunga, finisce però per logorare la mente e l’organismo.

A livello fisico, lo stress genera dunque una sorta di contrazione: l’organismo reagisce come se si trovasse davanti a un pericolo e tende perciò a irrigidirsi. I sintomi più diffusi in fase iniziale a livello fisico vanno dunque dal mal di schiena alle vertigini, passando per tensioni muscolari, fascicolazioni e affaticamento muscolare, per arrivare fino a disturbi digestivi e sudorazione delle mani.

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Sindrome da burnout, quando il lavoro logora

I soggetti più a rischio sono quelli impegnati nelle cosiddette “professioni d’aiuto” come gli operatori sanitari, le forze dell’ordine e chi deve risolvere emergenze

Quando lo stress è generato da un eccesso di impegni lavorativi, si parla di sindrome da burnout: porta il soggetto all’esaurimento delle proprie risorse psico-fisiche, manifestando sintomi psicologici negativi (nervosismo, apatia, irrequietezza) che possono anche associarsi a problematiche fisiche (disturbi del sonno, problemi digestivi, mal di testa). Una sindrome che deve essere presa seriamente: dal maggio del 2019, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità la riconosce come “fenomeno occupazionale”, anche se non è ancora inclusa all’interno dell’elenco delle cosiddette “condizioni mediche”.

La sindrome

La definizione dell’Oms è chiara: la sindrome da burnout è uno stato di stress cronico lavoro-correlato caratterizzato dalla sensazione di completo esaurimento delle proprie energie fisiche e mentali. Le persone in burnout si sentono emotivamente esauste e fisicamente prosciugate, sopraffatte, incapaci di continuare a rispondere alle richieste lavorative, oltre che stanche e giù di morale. Sentono di non avere la sufficiente energia per poter affrontare la routine quotidiana. I soggetti in burnout percepiscono il proprio lavoro come fonte di stress e per questo possono accumulare rabbia verso i propri colleghi o, nel caso peggiore, verso i destinatari dell’attività lavorativa se si tratta di un lavoro rivolto al pubblico, di qualsiasi tipologia. Il burnout peggiora ovviamente le performance lavorative dei soggetti che ne sono affetti, riducendo la motivazione, la concentrazione e la creatività. Man mano che le prestazioni lavorative calano le persone si sentono sempre più sopraffatte.

La persona perde in questo modo la fiducia nei confronti delle proprie capacità.

Chi è più a rischio

Esistono determinate professioni che sono a maggior rischio di burnout: è il caso, per esempio, di tutti quei professionisti che operano nei cosiddetti “lavori d’aiuto”, vale a dire medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali. L’essere in maniera costante a contatto con i bisogni e con le necessità dei pazienti è un fattore di grande stress. Discorso analogo vale per le forze dell’ordine, i vigili del fuoco, le guardie carcerarie: la gestione dell’emergenza aumenta infatti il rischio di burnout.

I campanelli d’allarme

Esistono alcuni sintomi caratteristici del burnout, che si dividono in tre categorie: fisici, psichici, comportamentali. Stanchezza e basse difese immunitarie, con frequenti dolori muscolari e mal di testa, sono i primi sintomi fisici di questa sindrome; quelli psichici riguardano una sensazione di fallimento, un calo dell’autostima e una sensazione di distacco dal proprio lavoro, con perdita di motivazione e ridotta soddisfazione.

A livello comportamentale, si rinuncia sempre di più a prendere responsabilità, procrastinando i propri compiti e rifugiandosi dietro l’assenteismo per evitare di affrontare il problema. Per affrontare il burnout, oltre alla decisione di rivolgersi a degli specialisti dell’ambito psichico e comportamentale, è necessario modificare il proprio stile di vita e il proprio modo di vivere il lavoro quotidiano.

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I pericoli correlati

Lo stress cronico, oltre a essere una condizione particolarmente complessa da affrontare, è stato riconosciuto come fattore predisponente per malattie decisamente gravi: è il caso, per esempio, della malattia di Alzheimer. Uno studio del Karolinska Institute di Stoccolma ha evidenziato l’esistenza di un’associazione tra lo stress cronico, una compromissione cognitiva e la malattia di Alzheimer nella fascia di età al di sotto dei 65 anni, vale a dire quando la diagnosi è meno frequente. Per portare a termine lo studio, vista la difficoltà nella misurazione dello stress cronico, è stata introdotta una nuova diagnosi, con la sigla SED (dall’inglese Stress-induced exhaustion disorder), i cui sintomi prevedono disturbi del sonno, sensazione di esaurimento nervoso, difficoltà di concentrazione e memoria. Dalla ricerca è emerso come le persone che hanno avuto una diagnosi di questo tipo hanno maggiori probabilità di sviluppare la malattia: il rischio è più del doppio rispetto a soggetti sani.

Lo stress cronico, come testimoniano numerosi studi, può provocare inoltre anche la necessità di cercare rifugio nell’alcol, nel fumo o nel consumo di sostanze stupefacenti: l’uso di queste sostanze, adottato con la convinzione di alleviare lo stress, finisce invece non solo per mantenere l’organismo nello status precedente, non fornendo effettivamente un rilassamento, ma può anche generare pericolose dipendenze.

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