La pandemia da coronavirus ha messo il mondo di fronte ad un problema complesso e poco previsto. Gli ospedali, luogo sicuro di cure, sono diventati anche un luogo nel quale medici ed infermieri nel prestare la loro opera sono stati massicciamente contagiati e colpiti da una elevata mortalità. Questi dati sono periodicamente aggiornati, ma poco sappiamo di tutto quello che è il vissuto della vita lavorativa di medici e soprattutto infermieri. Sappiamo che molti operatori sanitari non hanno resistito alla grande sofferenza e si sono tolti la vita. 

Ma sappiamo ancora poco di tutta questa sofferenza. Essa viene inglobata attorno ad una parola, lo stress. Nella evoluzione del mondo animale, che ha compreso anche l’uomo, la natura ha selezionato e sviluppato comportamenti e misure di risposta ad un evento improvviso necessarie per la sopravvivenza della specie. Un ruolo centrale è stato assegnato a due ghiandole che sono posizionate sopra i reni, chiamate surrenali. Esse hanno scopo di azionare attraverso la secrezione di ormoni meccanismi che aumentano la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, gli atti del respiro, aumentare la soglia del dolore, la cute riceve meno sangue a vantaggio dei muscoli.

Questa risposta è comune a molte specie. Alain Resnais è stato l’autore del film “Mon Oncle d'Amerique” del 1980. Gli attori erano Gérard Depardieu e un topo. Lo spunto del film veniva dai lavori di Henri Laborit che aveva scoperto la cloropromazina, il primo farmaco neurolettico e si era dedicato ai meccanismi di risposta allo stress sostenendo che essi erano simili in tutti i mammiferi compreso l’uomo. Nel film sia Depardieu che il topo venivano sottoposti a stimoli similari. Ma sorprendentemente entrambi cercavano dapprima di reagire allo stimolo, si infuriavano, ma alla fine non riuscendo a superare la difficoltà si deprimevano. La condizione dello stress nell’uomo non si dissocia da questo schema. Posso immaginare il personale sanitario in un reparto dedicato ai malati Covid-19. Lo stress è animato dalla paura, di ammalarsi, di tornare a casa e contagiare magari il figlio piccolo, di non riuscire nel compito di assistere la mole di pazienti che arrivano, di vederne morire tanti e di sentirsi impotente.

Lo stress nel frattempo ha messo in moto i meccanismi di difesa. La pressione tende a salire, il cuore batte forte, l’ansia ti assale, non si riesce tornati a casa a prendere sonno. Questo meccanismo resta attivo finché permane lo stress. Compaiono disturbi digestivi, reflussi gastrici, ma non solo. Abbiamo dati che riguardano uno stress eccezionale, il terremoto di Northrige, vicino a Los Angeles, nel 1994. Si è potuto verificare un aumento del 260% delle morti per cause cardiaca nell’area metropolitana rispetto ai giorni precedenti. Anche la circolazione del sangue nei principali organi può essere compromessa da uno stress prolungato se esistono fattori predisponenti. La pandemia è stata e continua ad essere una situazione del tutto eccezionale. Da tempo però sapevamo che avevamo una grave carenza di infermieri. Ma deve anche insegnarci che il benessere fisico e psichico degli operatori sanitari dovrà essere un impegno continuo e proficuo. Non è lo stress che si deve curare ma le condizioni di lavoro. Non solo più infermieri, ma una grande preparazione e assunzione di responsabilità per migliorare la sanità insieme ai medici. I medici non devono viverla come una competizione nei loro confronti, ma gli infermieri devono aspirare a lavorare insieme ai medici per una migliore sanità.

Antonio Barracca

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