Il papilloma virus (Hpv) è un’infezione molto frequente, in Italia si stima che l’80% delle persone sessualmente attive si infetti nel corso della propria vita con un virus Hpv di qualunque tipo, e che il 10% circa si infetti con un tipo ad alto rischio oncogeno. Sono state la professoressa Laura Atzori, direttrice della Dermatologia al San Giovanni di Dio, e la dottoressa Mariangela Chessa, specialista in dermatologia e venereologia, ad affrontare il tema in una puntata di “15 minuti con…”, il talk di approfondimento sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda, condotto dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e relazioni esterne dell’Aou.

«L’attenzione generale è stata catalizzata dalla scoperta della correlazione di alcuni sierotipi (HPV16 e 18), con lo sviluppo del carcinoma della cervice uterina e di altre aree ano-genitali ed extra-genitali, come il cavo orofaringeo», spiega la professoressa Atzori: «Tale evento è d’altro canto molto meno frequente della condilomatosi, con un impegno di risorse economiche in ambito sanitario pubblico spesso sottostimato. La vita sessuale attiva e di relazione dei soggetti affetti è fortemente condizionata dal disagio psichico, con stati d’ansia, problemi di autostima; aumenta inoltre il rischio di contrarre altre infezioni quali l’HIV, per non dire dell’elevato tasso di recidiva, nonostante terapie appropriate. La persona infetta anche inconsapevolmente è in grado di trasmettere l’infezione. Inoltre, i sierotipi oncogeni condividono gli stessi fattori di rischio e modalità di contagio dei condilomi».

«La problematica è tanto più delicata perché i soggetti maggiormente a rischio sono i giovani dai 15 ai 24 anni, senza differenza di genere, al debutto sessuale», sottolinea la dottoressa Chessa: «Promuovere tra i giovani una maggiore consapevolezza sui rischi della trasmissione sessuale, educare a una corretta salute sessuale è una priorità non solo per ridurre la frequenza della condilomatosi genitale, ma per contrastare e prevenire il rischio oncogeno. Per quanto cruciale, in Italia e in altri tre paesi europei la legislazione non prevede l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole e i minorenni incontrano oggettive difficoltà nell’affrontare la patologia, dovendo dipendere dai genitori per l’accesso al Sistema sanitario nazionale».

«In tema di prevenzione», prosegue la professoressa Atzori, «abbiamo da qualche anno la possibilità di vaccinare sia i ragazzi che le ragazze in alcune classi di età, con vaccini che proteggono dal contrarre l’infezione, con un’efficacia tra il 90 e il 100% per i sierotipi compresi (fino a 9). I vaccini disponibili gratuitamente nell’età prevista, sono sicuri e danno una copertura di oltre dieci anni secondo gli studi di Paesi che hanno iniziato la campagna vaccinale con molto anticipo rispetto all’Italia. La vaccinazione mostra il massimo beneficio se praticata tra i nove e i dodici anni. Altro strumento fondamentale di prevenzione è la ricerca dell’HPV Dna, test che si può eseguire su varie tipologie di prelievo, ma che è attualmente codificato solo per lo screening del carcinoma della cervice, e che, se eseguito con la regolarità prevista dai protocolli, consente di intercettare la malattia nelle fasi del tutto iniziali, con minimo disagio per la persona. Dal momento che occorre un tempo molto lungo per lo sviluppo di un tumore invasivo, è auspicabile che vengano proposti test di screening per le altre possibili sedi di tumore HPV-correlato, gratuitamente nelle classi a rischio, per una efficace prevenzione della malattia oncologica nella popolazione generale».

Luca Mirarchi

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Sardegna sempre più anziana

La Sanità del futuro dovrà farsi trovare pronta non solo a possibili nuove emergenze, ma anche alle implacabili previsioni sociodemografiche del nostro Paese, che rispecchiano quelle regionali. Si evolvono le forme familiari, con il decollo delle famiglie unipersonali: gli abitanti della Sardegna che vivono soli sono oltre 1 su 3 (34,8%), più della metà dei quali (51,8%) è over 60.

Inoltre, l’invecchiamento della popolazione porta a una moltiplicazione di patologie invalidanti e cronicità, che generano alti fabbisogni sociosanitari e di assistenza: in Sardegna, quasi due terzi degli over 75 ha multicronicità e limitazioni gravi (62%). In quest’ottica, si rende sempre più necessario il passaggio da una medicina riparativa a una attiva di prevenzione. Questo includerà non solo il recupero delle visite mancate durante il periodo Covid (-46,8% screening di prevenzione oncologica e -48,9% relative diagnosi in Sardegna), ma anche una più alta adozione di stili di vita salutari per innalzare le persone in buona salute che, in Sardegna, sono il 68,5%.

Da una fotografia scattata dal Rapporto Janssen-Censis sulla Sanità in Italia, presentato in occasione della prima edizione di “The Italian Health Day”, gli italiani sembrano avere le idee ben chiare in merito alle caratteristiche della Sanità post-Covid e ai protagonisti che la animeranno: i cittadini sempre più informati, responsabili e partecipi, il medico come massimo garante della tutela della salute e gli innovatori (intesi come ricercatori e imprese).

Un ecosistema orientato sempre più alla personalizzazione che beneficia della mobilitazione di tutti gli attori: tratti indispensabili per rispondere alla triplice sfida di gestione della malattia acuta, cronica e delle nuove emergenze, tenendo ben presente l’aspetto fondamentale della sostenibilità economica.

I cittadini hanno evidenziato in primis il ruolo chiave dell’innovazione, decisiva per migliorare la cura, i percorsi assistenziali e le difese dalle nuove emergenze. Sono oltre 9 su 10 le persone che hanno fiducia nei ricercatori scientifici (90,9%) e altrettanti coloro i quali ritengono che la spesa pubblica in ambito salute rappresenti un investimento e non un costo (93,7%).

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