Sembra quasi un’etichetta che resta appiccicata e che chiude le porte a una vita “normale”. È quella che si sentono addosso le tante persone che sono guarite da un tumore. Perché varcata per l’ultima volta la soglia dell’ospedale, quando per i medici e per la sanità si è a tutti gli effetti degli ex-pazienti e quando non si gode più dell'esenzione del ticket per patologia c’è purtroppo ancora tutto un mondo per cui si resta comunque “malati”. Un mondo che blocca l’accesso a finanziamenti - come prestiti, mutui e assicurazioni - o al mondo del lavoro. Ecco perché anche per chi ha avuto il cancro dovrebbe esistere un diritto all'oblio. Se ne parla da anni, ma ancora, almeno in Italia, è tutto fermo al palo. «Il diritto all’oblio oncologico è un atto civile, di grande valenza etica e sociale», spiega Daniele Farci, responsabile divisione Medicina e servizio oncologia Nuova Casa di Cura, Decimomannu e cooordinatore Aiom Sardegna. «Deve essere fatto da parte dei sanitari e dei professionisti della comunicazione anche cambiando le parole associate al cancro, dimenticando i riferimenti alla lotta, alle battaglie e alla guerra e mettendo la parola fine all’equazione cancro uguale male incurabile».

Nuova vita

Grazie ai progressi della medicina in ambito diagnostico e terapeutico, la sopravvivenza media dei pazienti affetti da tumore è in costante aumento: «A 5 anni dalla diagnosi sono vivi il 59,4% dei maschi e il 65% delle femmine. Così come è in lieve, ma costante diminuzione la mortalità per neoplasie», spiega ancora il dottor Farci. È significativo, poi, il dato della prevalenza, aumentato di quasi il 40% nei dieci anni: complessivamente, sono più di 3.800.000 gli italiani e circa 80.000 i sardi che nel 2022 hanno vissuto con una diagnosi recente o pregressa di cancro. «Un quarto di questi possono essere considerati guariti dal cancro ed hanno la stessa aspettativa di vita di persone di uguale sesso e pari età. Oggi possiamo misurare la guarigione dal tumore utilizzando indicatori specifici, in funzione del tipo di tumore e del tempo trascorso dalla sua diagnosi. Il tempo per la guarigione è inferiore ai 2 anni nel caso di tumori della tiroide, del testicolo e di linfomi di Hodgkin; è di circa 5 anni nel caso di tumori della cervice uterina, del colon-retto e del melanoma. Per il tumore della mammella, della prostata, del rene e della vescica, ma anche per i linfomi non Hodgkin, il mieloma e le leucemie croniche, esiste il rischio, sebbene esiguo, che la malattia si ripresenti anche oltre i 10-15 anni», dice l’esperto.

Disegno di legge

Generalmente per la definizione di guarigione di un paziente oncologico si fa riferimento a un arco temporale di cinque anni per tumori diagnosticati in età infantile e adolescenziale e di dieci anni per tumori diagnosticati in età adulta. «In realtà l’arco temporale dovrebbe essere valutato caso per caso, in particolare negli adulti, in base alle caratteristiche biologiche del tumore», sottolinea il dottor Farci. «Utilizzare la parola “guarito” è importante da un punto di vista psicologico e questo termine deve essere sdoganato anche per la sua valenza sul piano sociale, lavorativo e dei diritti civili di chi ha vissuto l’esperienza del tumore e ha diritto ad una vita normale, senza discriminazioni. Alcuni paesi europei, come Francia, Belgio, Olanda e Portogallo, hanno già legiferato per il diritto all’oblio oncologico, che garantisce a queste persone il diritto a non dichiarare informazioni sulla loro malattia pregressa. «È sacrosanto che anche in Italia si legiferi quanto prima per il diritto all’oblio oncologico ed è quindi importante aderire alla campagna #iononsonoilmiotumore, promossa in rete da Fondazione Aiom e da altre associazioni oncologiche, nel sito “dirittoallobliotumori.org», spiega il dottor Farci. E conclude: «Accedendo a tale portale è possibile sottoscrivere un documento che sostiene un disegno di legge sul diritto all’Oblio Oncologico, il ddl 2548 presentato nel febbraio 2022 e tuttora in attesa di sviluppi».

Mauro Madeddu

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