Fratture da fragilità: nel paziente anziano i rischi aumentano
Una caduta o uno sforzo eccessivo causano il rischio di complicanze per altre patologie (diabete, ipertensione, insufficienza renale)Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Le fratture del paziente anziano vengono definite in ambito medico fratture da “fragilità”, in quanto sono conseguenti a una cattiva condizione non solo dello scheletro ma anche delle condizioni generali di salute del paziente. Avvengono spesso per traumi di lieve entità nel proprio domicilio, come una caduta o uno sforzo eccessivo per la ridotta resistenza delle ossa conseguente all’osteoporosi, e comportano un aumento del rischio di complicanze per le altre patologie già presenti nel paziente anziano (diabete, ipertensione, patologie neurologiche, insufficienza renale, eccetera), per la ridotta autonomia motoria e per il ricovero in ospedale che queste fratture spesso comportano».
Questo il quadro generale della patologia delineato dal professor Antonio Capone, direttore dell’Ortopedia al policlinico Duilio Casula, durante la puntata di “15 minuti con…”, il talk di approfondimento sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo L’Unione Sarda, condotto dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e relazioni esterne dell’Aou.
In Italia sono state riscontrate, nel 2017, 560.000 fratture di fragilità che comprendono non solo quelle di femore ma anche le fratture vertebrali, del polso, della spalla e della caviglia. Nel 2030 il numero arriverà al 690.000 casi, con una previsione di spesa per il nostro Sistema sanitario nazionale di 12 miliardi di euro, conseguenti ai costi diretti per il ricovero ospedaliero ma soprattutto a quelli indiretti, legati all’assistenza di questi pazienti che dopo la dimissione non sono più autonomi.
«Nel 2021, al Policlinico D. Casula», spiega Capone, «sono stati trattati oltre mille pazienti con fratture da fragilità. Da novembre 2021 è stato attuato un percorso ortogeriatrico nei pazienti ricoverati presso la S.C. di Ortopedia e Traumatologia con la collaborazione dei medici della U.O. di Medicina interna diretta dal professor Angelo Scuteri e della Scuola di specializzazione in Geriatria diretta dalla Professoressa Antonella Mandas. Il percorso prevede una gestione multidisciplinare del paziente durante il ricovero in reparto che coinvolge anche il fisiatra, la dottoressa Giuliana Salis, gli infermieri e i fisioterapisti per ridurre il rischio di complicanze e i tempi di degenza. I dati preliminari a sei mesi evidenziano in questi pazienti una riduzione della mortalità e dei reingressi in ospedale per complicanze rispetto al gruppo di quelli trattati prima dell’attuazione del percorso stesso».
«Ci auguriamo», prosegue il medico, «che tale percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale possa essere completato con un aumento delle risorse a disposizione presso l’Aou di Cagliari, utilizzando anche i fondi messi a disposizione dal Governo e dalla Regione Sardegna per l’implementazione di nuovi modelli di assistenza sanitari, dopo l’epidemia Covid-19, per realizzare un’Unità operativa specifica nel trattamento delle fratture nell’anziano».
Luca Mirarchi
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Anemia e reni, non sembra ma sono legati
Quando si pensa all’anemia, con l’emoglobina che trasporta l’ossigeno all’interno dei globuli rossi che cala, è difficile che venga in mente il rene. Lo consideriamo una sorta di organo che “pulisce” il sangue e aiuta ad eliminare gli scarti, ma invece ha una serie di altre funzioni di grandissima importanza. Solo che spesso ce ne dimentichiamo, tanto che la malattia renale cronica, con i reni che non lavorano a dovere, pur essendo molto diffusa spesso non viene riconosciuta e comunque considerata come dovrebbe. Anche come potenziale causa di affaticamento, difficoltà a concentrarsi, aumento della frequenza cardiaca. Questi sono i segnali che dovrebbero metterci sul chi vive, visto che l’anemia è una delle complicanze più frequenti della malattia renale cronica e interessa mediamente un paziente ogni sette. A ricordarci che non bisogna sottovalutare questo quadro arriva ora una campagna dal nome “Anemia? Non aspettare, agisci”. «L’insufficienza renale cronica è una malattia insidiosissima, perché quasi totalmente asintomatica: tutti dobbiamo occuparci dei nostri reni anche se non si fanno sentire – segnala Giuseppe Vanacore, Presidente dell’Associazione Nazionale Emodializzati (Aned). Peraltro, negli stadi più gravi si associano altre patologie, tra le quali l’anemia da malattia renale cronica, che spesso viene diagnosticata in ritardo. Infatti, c’è ancora scarsa informazione sulla correlazione tra queste due patologie, e in particolare sulla possibilità di ricorrere a una gestione multidisciplinare per migliorare le condizioni e ritardare la loro progressione. Lavorando su informazione e consapevolezza è possibile accorgersi in tempo della malattia e intervenire tempestivamente». Ma come si correlano i reni con l’anemia? I pazienti con malattia renale cronica sono particolarmente a rischio perché quando i reni non funzionano bene non producono abbastanza eritropoietina, ormone che stimola la produzione di globuli rossi. Quindi è sempre meglio essere seguiti.
Federico Mereta