Valentina ha 12 anni, mangia pochissimi cibi attentamente selezionati e non sopporta quando le infilano gli elettrodi tra i capelli per fare l’encefalogramma. Soffre di crisi convulsive ricondotte ad attacchi di epilessia e viene ricoverata nel reparto di neuropsichiatria infantile: qui incontra Arturo, un giovane psichiatra che adotta metodi non convenzionali per curare i suoi piccoli pazienti. Alla somministrazione arbitraria di medicinali il medico preferisce un approccio basato sul dialogo, sulla costruzione di un rapporto di fiducia e sulla condivisione.

è questa la chiave di lettura proposta da Francesca Archibugi ne “Il grande cocomero”, un romanzo che affronta il tema della neuropsichiatria infantile e dell’epilessia in modo autentico e incisivo. Un libro che invita a cercare il “grande cocomero”, inteso come la speranza di un cambiamento, di una via d’uscita dal malessere.

L’incidenza

Pur avendo in Italia un’incidenza pari a circa l’1%, l’epilessia costituisce una delle malattie neurologiche più frequenti, coinvolgendo 500mila persone.

Tratto caratterizzante di questa problematica è la comparsa di crisi epilettiche, episodi in cui si verifica una scarica elettrica anomala a livello della corteccia cerebrale. Di scariche elettriche ne esistono due tipologie, quelle parziali e quelle generalizzate. Le prime si originano in una zona specifica della corteccia cerebrale, oggetto di una condizione di anomala eccitabilità, le seconde coinvolgono invece l’intera corteccia cerebrale e provocano una completa perdita di conoscenza.

I sintomi

A seconda della tipologia di crisi epilettica i sintomi sono differenti.

Nel caso delle crisi parziali le manifestazioni del disturbo dipendono dall’area cerebrale interessata. Si presentano quindi sintomi come formicolii, scatti, movimenti anomali, alterazioni del comportamento, sensazioni di deja-vu o difficoltà nel linguaggio.

Quando si tratta invece di crisi generalizzate, le manifestazioni si distinguono ulteriormente in assenze, in cui il soggetto presenta uno stato improvviso di incoscienza senza disturbi motori, e crisi tonico-cloniche, caratterizzate da perdita di coscienza, intense contrazioni muscolari e cianosi temporanea del volto.

La diagnosi

Il percorso di diagnosi di epilessia si basa sulla raccolta anamnestica delle informazioni sugli episodi da parte del paziente o di chi ha assistito all’evento. A questa si aggiungono una visita neurologica e l’esecuzione di esami diagnostici, come l’elettroencefalogramma (EEG) e la risonanza magnetica (RM) dell’encefalo.

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Agire sul tempo è determinante: spesso i sintomi sono interpretati in modo errato

Lavorare sul tempo, quando si parla di epilessia e di altri disturbi neurologici, può essere determinante.

Prima viene effettuata una diagnosi accurata e prima si interviene, migliore è la qualità di vita del soggetto coinvolto e minori le complicazioni cognitive.

Proprio questi temi sono stati oggetto di un recente congresso internazionale sull'epilessia tenutosi a Dublino.

Le criticità

Il primo elemento su cui è importante continuare a lavorare e fare ricerca è il percorso di definizione della diagnosi.

Secondo quanto affermato in occasione del convegno da Laura Tassi, presidente della Lega Italiana Contro l'Epilessia (Lice) e neurochirurga presso l'ospedale Niguarda di Milano, il 25% delle diagnosi sono errate: molto spesso capita infatti che l'epilessia venga scambiata per una malattia psichiatrica o che, al contrario, alcuni soggetti vengano seguiti con trattamenti per curare l'epilessia pur non essendone affetti.

In alcuni casi, inoltre, sono i sintomi stessi a essere mal interpretati: alcune forme epilettiche provocano infatti un aumento dei battiti cardiaci e vengono quindi fatte seguire da un cardiologo. Talvolta ancora, le manifestazioni dell'epilessia sono legate a problematiche allo stomaco e chi ne soffre viene indirizzato verso un gastroenterologo.

Il percorso

Si tratta di conseguenze di un sistema sanitario che non risulta in grado di gestire al meglio questi disturbi: mancano infatti neurologi specializzati, i centri specialistici hanno una distribuzione disomogenea e le liste d'attesa sono particolarmente lunghe. Una volta effettuata una diagnosi corretta è possibile attivare un trattamento mirato: le cure che vengono avviate danno i risultati sperati tanto che, secondo le stime, ne beneficia circa il 70% dei pazienti.

Una buona percentuale dei soggetti coinvolti riesce a evitare le crisi seguendo il percorso farmaceutico individuato. In alcuni casi, però, si parla di circa tre pazienti su dieci, i trattamenti non si rivelano efficaci: in questi casi ci si trova di fronte a forme resistenti della malattia sulle quali si stanno concentrando le ricerche. Con buoni risultati: sembra infatti che il cenobamato rappresenti una nuova opzione terapeutica per il trattamento dell’epilessia farmaco-resistente negli adulti. Un medicinale, di recente immesso nel mercato, che si sta rivelando molto utile nel ridurre il numero di crisi che colpiscono il soggetto, con effetti positivi sulle condizioni di vita della persona. I ricercatori hanno infatti dimostrato che grazie all'assunzione a lungo termine del cenobamato il 17% dei pazienti può raggiungere, e mantenere a cinque anni, una riduzione degli episodi epilettici tra il 90 e 99%.

Disturbi connessi

La ricerca di trattamenti mirati, personalizzati sulle esigenze dei pazienti, favorisce una maggiore longevità tra i soggetti che devono fare i conti con l'epilessia.

Figure spesso molto vulnerabili, con un rischio più elevato di morte prematura secondo quanto evidenziato da numerose indagini epidemiologiche. E non solo: spesso la difficoltà nel gestire correttamente le crisi si accompagna ad ansia e depressione, oltre a disturbi legati al sonno e patologie cardiovascolari.

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La ricerca: scritta la mappa dei geni collegati

"Comprendere meglio le basi genetiche dell'epilessia è fondamentale per sviluppare nuove opzioni terapeutiche e, di conseguenza, una migliore qualità di vita per gli oltre 50 milioni di persone che ne soffrono a livello globale": queste le parole di Gianpiero Cavalleri, docente di Genetica umana presso la Scuola di Farmacia e Scienze Biomolecolari del Royal College of Surgeons in Irlanda (Rcsi).

Proprio per raggiungere questo traguardo ambizioso i ricercatori hanno lavorato a lungo negli scorsi anni andando a tracciare una mappa completa dei geni che sono collegati ad un rischio più elevato di epilessia. I risultati dell'indagine sono stati pubblicati sulla rivista Nature Genetics.

L'indagine

Il consorzio di ricerca, attivo in dieci Paesi, ha messo a confronto il Dna di quasi 30.000 persone con epilessia di diversi tipi con quello di 52.500 persone senza epilessia.

Analizzando le differenze riscontrate, sono state evidenziate alcune  aree del Dna coinvolte nello sviluppo della malattia, individuando, in particolare, quelle legate ad una particolare forma di epilessia chiamata "epilessia genetica generalizzata" (Gge).

"L'identificazione dei cambiamenti genetici associati all'epilessia ci permetterà di migliorare la diagnosi e la classificazione dei diversi sottotipi di epilessia. Questo, a sua volta, guiderà i medici nella scelta delle strategie terapeutiche più vantaggiose, riducendo al minimo le crisi", ha affermato Colin Doherty, consulente neurologo del St James's Hospital.

Il traguardo

Si tratta di un importante passo in avanti  in grado di migliorare le fasi di diagnosi e i percorsi di cura di questo disordine tanto sfaccettato quanto variabile nelle sue diverse manifestazioni.

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