C’è anche la Sardegna fra le Regioni a Statuto Speciale rimaste escluse dalla ripartizione delle risorse stanziate a livello nazionale per gli screening necessari per trovare i soggetti affetti da Epatite C.

Una grave mancanza, in un contesto già critico per la pandemia e in cui la necessità di far emergere il "sommerso" dell'HCV è indispensabile per raggiungere l'obiettivo fissato dall'OMS per il Paese di eliminare l'Epatite C entro il 2030.

A evidenziarlo il progetto CCuriamo, ideato e gestito dalla società ISHEO e con il contributo non condizionante di Gilead Sciences, che da maggio si propone di monitorare e incoraggiare le politiche regionali in tema di lotta all'Epatite C.
In occasione dell'incontro online "Focus Point Regione Sardegna", realizzato nell’ambito dell’iniziativa, è stato sottolineato come eliminare l'Epatite C sia possibile, grazie ai nuovi farmaci ad azione antivirale diretta che permettono di eradicare il virus definitivamente, in poche settimane e senza effetti collaterali.

Per favorire gli screening, nel febbraio 2020 il Governo ha stanziato 71,5 milioni di euro con un emendamento al decreto Mille Proroghe, adottato dal Ministro della Salute ad aprile 2021; con il Decreto attuativo firmato ad agosto dal Ministero, il compito di organizzare politiche volte a individuare i soggetti affetti da Epatite C e indirizzarli al trattamento è passato alle regioni, non senza problemi di diverso tipo.

"Ad oggi stiamo lavorando su Puglia, Emilia-Romagna, Piemonte e Sardegna, anche se quest'ultima essendo una regione a statuto speciale non riceve i fondi - ha spiegato Davide Integlia, CEO di ISHEO - Lo scenario attuale mostra l'avvio di un piano di screening in Piemonte ed Emilia-Romagna nella fascia di coloro che sono nati tra il '69 e l'89. Il problema è che le regioni possono usufruire degli screening gratuiti, ma devono provvedere a formazione, percorsi negli ospedali, reti tra specialisti. Un processo complicato ulteriormente dall'andamento della pandemia che frena i trattamenti. Il caso dell'Epatite C è pertanto emblematico delle difficoltà di coordinamento tra Stato e Regioni".

In occasione degli incontri regionali è stata lanciata la proposta di una nuova campagna di sensibilizzazione che possa portare i test per l'HCV sul territorio, dalla Medicina generale alle farmacie. Sarà fondamentale anche un supporto delle istituzioni per prorogare i termini di impiego dei fondi. 

IL SOMMERSO NEI SERD E NEI PENITENZIARI - "La Sardegna è una regione che storicamente presenta un alto tasso di tossicodipendenti per via endovenosa. A contribuire a questo fenomeno è anche l'alto tasso di utilizzo di superalcolici - spiega il professor Sergio Babudieri, Direttore Malattie infettive e Tropicali AOU Sassari - La combinazione di questi due fattori ha provocato una grande circolazione di virus a trasmissione ematica, principalmente HIV e HCV. Il problema principale risiede nella difficoltà di stimare precisamente i pazienti sommersi. In mancanza di attività ufficiali e di un piano coordinato, abbiamo avviato alcune iniziative isolate. Gli allievi della nostra scuola di specializzazione possono frequentare sia gli istituti penitenziari che i SerD, monitorando le rispettive popolazioni grazie all'utilizzo di test rapidi, come il cosiddetto 'pungidito'. In questo modo sensibilizziamo i giovani e otteniamo risultati, seppur parziali, per valutare l'efficacia di questo tipo di ricerca".

LO STUDIO SUI DETENUTI - La Sardegna è stata recentemente coinvolta anche in uno studio nazionale che ha monitorato anche gli istituti penitenziari delle regioni Lombardia, Liguria, Lazio e Campania, e in particolare le carceri di Alghero e Sassari, Milano, Civitavecchia, Genova, Salerno ed Eboli. "Gli screening in queste carceri hanno evidenziato solo un 40% di pazienti viremici tra i positivi allo screening HCV, nonostante ci si aspettasse una percentuale superiore - aggiunge Babudieri, che è anche direttore scientifico di SIMSP e della Società di Medicina Penitenziaria - Trattandosi di centri di eccellenza, un linkage-to-care bidirezionale tra carcere e SerD era già esistente, garantendo in questo modo un monitoraggio costante dei pazienti e una continuità nella terapia. Questi risultati ci incoraggiano a proseguire su questa strada, applicando tale metodo a livello nazionale; occorrono però input nazionali e regionali per consentire coordinamento e unicità nel procedimento".

NETWORK TRA TERRITORIO E OSPEDALE - Un altro aspetto su cui occorrerebbe intervenire rapidamente è la messa a punto di un sistema informatico che consenta sia al territorio che all'ospedale la condivisione dei dati, così da non disperdere importanti informazioni che potrebbero accelerare il trattamento.

"Nella gestione dei pazienti con HCV spesso si va avanti tramite contatti interpersonali - dichiara il dottor Carlo Piredda, Coordinatore provincia di Cagliari per la SIMG, Società Italiana Medicina Generale e delle Cure Primarie - Manca infatti una vera e propria gestione condivisa, istituzionale e ufficiale. Si potrebbe, ad esempio, coinvolgere tramite mail aziendale i medici di medicina generale, che dispongono di molte più informazioni sullo stato di salute dei propri assistiti di quanto ne abbiano gli altri specialisti. In questo modo si creerebbe un ponte utile alla condivisione della terapia e di contatti diretti, consentendo ai medici di individuare gli individui portatori del virus".

(Unioneonline/v.l.)

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