Ritenuto spesso come un semplice sintomo, il dolore può invece rappresentare una vera e propria patologia: è il caso del dolore cronico, definito in questo modo nel momento in cui supera i tre mesi. Si tratta di una condizione pesantissima da affrontare, perché incide in maniera diretta anche sulla qualità di vita del paziente. Il dolore cronico ha dei meccanismi slegati dalla malattia che ha determinato quel dolore: viene infatti interessato il sistema nervoso periferico o centrale.

Il disturbo

Secondo le stime effettuate nel 2020, il dolore cronico colpisce una persona su cinque a livello mondiale, quindi circa 1,5 miliardi di persone, con una maggiore incidenza tra le donne. Generalmente è causato da una malattia cronica pre-esistente, di solito derivante da un danno alle terminazioni nervose: solo in alcuni casi il dolore cronico si innesca anche senza un problema pre-esistente. Si tratta solitamente di un dolore definito sordo e profondo da chi lo subisce, ma in alcuni casi anche pulsante, e viene accompagnato da formicolii e alterazioni della sensibilità. La condizione è tale da costringere il paziente a non svolgere le normali attività quotidiane: interferisce in maniera evidente con la qualità della vita, andando a inficiare il sonno e impoverendo le funzioni fisiche e, di conseguenza, anche le relazioni sociali. I sintomi accessori più frequenti sono dunque legati alla condizione primaria: insonnia, stanchezza, sensazione di debolezza, sbalzi d’umore, mancanza di appetito.

Nel sistema italiano

In Italia, solamente a partire dal 2010 si è iniziato ad affrontare il tema della terapia del dolore in maniera distinta dalle altre patologie. Riuscire a risolvere il problema generato dal dolore cronico è praticamente impossibile, ma si possono mettere in atto delle strategie farmacologiche o chirurgiche con l’obiettivo di arrivare a gestire il dolore. Una volta presi in carico, i pazienti affetti da dolore cronico devono sottoporsi a quella che i medici definiscono scala di autovalutazione numerica, cioè cercare di dare una quantificazione al dolore provato, giorno dopo giorno. Si tratta di un sistema fondamentale per capire non solo la condizione di partenza, ma anche l’efficacia o meno delle terapie e della strategia scelta dagli specialisti. Una fase di costante monitoraggio che gioca un ruolo centrale all’interno della gestione del dolore cronico: da questo punto di vista, diventa importantissimo anche il confronto costante tra i diversi specialisti che si occupano della gestione del paziente, che necessita ovviamente anche di un sostegno psicologico alla luce dell’impatto della patologia sulla vita quotidiana.

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Un disagio persistente da affrontare a 360°

La complessità nella gestione delle più semplici attività quotidiane provoca delle difficoltà che possono sfociare in problemi seri su cui è essenziale intervenire

Il peso dell’impatto psicologico nella valutazione del dolore cronico è ormai parte integrante del quadro dei sintomi della patologia. I pazienti affetti da questa malattia hanno bisogno di un supporto non solo farmacologico ma anche psicologico: a trattare i malati non è dunque solamente l’algologo, ma anche uno psicologo.

Il primo è la figura professionale che ha il compito di diagnosticare i meccanismi che sono alla base della patologia e deve poi condividere con altri specialisti il trattamento migliore. L’analisi dei sintomi non è facile e per questo motivo tutto parte da una tradizionale visita medica e dalla raccolta dell’anamnesi. A partire dall’insorgenza dei primi sintomi e dall’intensità del dolore, lo specialista capisce quale trattamento scegliere. In alcuni casi, per arrivare alla diagnosi, si può procedere con un test di funzionalità nervosa, noto come elettromiografia, che comporta l’inserimento di un elettrodo in un muscolo al fine di registrare l’attività elettrica e rilevare eventuali danni ai nervi.

Le tipologie

Esistono tre tipologie principali di dolore cronico: il dolore neuropatico, che si riferisce al danno nervoso; il dolore nocicettivo, riferito ai nocicettori, recettori nervosi che si attivano quando si verifica uno stimolo lesivo e nel dolore cronico continuano a inviare questi messaggi di dolore anche una volta che la lesione è guarita; il dolore idiopatico, quello che non sembra presentare una causa apparente. Questa sensazione può essere costante o intermittente, ma è caratterizzata da una gravità debilitante. A provocare il dolore cronico sono, generalmente, altre patologie pre-esistenti nel paziente. Tra le principali cause c’è spesso il cancro, che può innescare dolore cronico sia per la malattia in sé, sia per il trattamento usato per curarla; un trauma di tipo chirurgico oppure causato da un incidente a livello dei tessuti; una malattia del sistema nervoso periferico o centrale; un dolore muscolo-scheletrico secondario, con fastidi molto seri per le ossa, le articolazioni e i tendini.

Le tecniche

Oltre ai trattamenti farmacologici, esistono alcune tecniche che, in base ai singoli casi, possono aiutare a gestire il dolore cronico. La respirazione profonda consente al corpo di rilassarsi, riducendo il dolore.

Anche le terapie mente-corpo, ovvero quelle tecniche che mirano a utilizzare la mente al fine di influenzare i sintomi (ipnosi, terapia cognitivo-comportamentale, meditazione), in alcuni casi sono state efficaci. In base a dove si trova il dolore si può poi procedere con gli impacchi caldi o freddi, da usare singolarmente o in combinazione.

Infine, i dispositivi Tens (stimolazione elettrica nervosa transcutanea), che utilizzano una leggera corrente elettrica, forniscono sollievo dal dolore. Un dispositivo collegato al corpo tramite elettrodi riesce a ridurre i segnali di dolore inviati al midollo spinale e al cervello.

Ovviamente, tutte le possibili tecniche alternative di riduzione del dolore devono essere suggerite dal medico che si occupa della terapia farmacologica principale, per evitare che possano esserci conflitti o controindicazioni in merito.

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Le zone più colpite: dalla schiena fino alle cefalee

Il dolore cronico non è di un solo tipo: può infatti colpire diverse zone del corpo. La patologia più diffusa è quella che banalmente viene chiamata mal di schiena, che però nasconde molte sfaccettature. La colonna vertebrale presenta infatti numerose strutture che possono degenerare, costringendo il paziente a sottoporsi a cure algologiche. C’è poi il campo delle cefalee, che richiedono l’impiego della terapia del dolore soprattutto quando le terapie farmacologiche tradizionali non riescono più ad arginare gli stimoli responsabili del dolore.

Nel caso di patologie articolari, l’algologo deve condividere la terapia con ortopedici e fisiatri. Vi sono poi altre malattie che spesso degenerano in dolore cronico: è il caso della sclerosi multipla con la nevralgia trigeminale. Questo tipo di nevralgia provoca un dolore molto acuto, solitamente di breve durata, simile a una scossa elettrica: quando tale disagio si protrae nel tempo, si parla di dolore cronico e si entra dunque nell’ambito della terapia del dolore.

La Commissione Europea sta attualmente finanziando un progetto internazionale di ricerca collaborativa, ribattezzato QSPainRelief, che vede la partecipazione di dieci istituzioni partner di cinque Paesi europei e degli Stati Uniti con la finalità di sviluppare e implementare nuovi trattamenti personalizzati per i pazienti affetti da dolore cronico. Questo progetto quinquennale è iniziato nel gennaio 2020 e ha come obiettivo quello di utilizzare schemi informatici e matematici per supportare la scoperta di nuovi farmaci che possano supportare la lotta al dolore cronico.

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