Nonostante gli studi e i progressi della scienza, il disturbo bipolare rappresenta tutt’oggi un serio problema di salute mentale. A causa della malattia, che si presenta sotto forma di episodi di depressione o mania alternati a periodi asintomatici, le persone affette - circa 45 milioni in tutto il mondo, secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità - hanno difficoltà a gestire il lavoro, le risorse economiche, lo studio (il picco d’insorgenza si ha tra i 15 e i 19 anni), le relazioni e la sessualità; come se ciò non bastasse, il rischio di suicidio può aumentare fino al 20%.

Trattare adeguatamente la malattia in fase di mantenimento, una volta superati gli episodi, è indispensabile per prevenire rovinose recidive e garantire al paziente una vita normale. Attualmente, il gold standard della terapia per stabilizzare l’umore è rappresentato dal litio; come agisca non è ancora del tutto chiaro, ma alcuni test sulle cellule nervose suggeriscono che possa alleviare l’infiammazione responsabile della degradazione del triptofano (un costituente delle proteine) in acido quinolinico e suoi precursori, potenzialmente coinvolti nello sviluppo e nel peggioramento dei sintomi.

Malgrado il litio sia efficace sia nel curare e sia nel prevenire gli episodi, i dati evidenziano che solo il 30% dei pazienti risponde perfettamente alla terapia; in tutti gli altri casi, si cerca di migliorare i risultati con i cocktail farmacologici (l’associazione tra litio e valproato è molto comune).

La ricerca

Ipotizzando che nei pazienti bipolari la degradazione del triptofano sia aumentata e che il litio la riduca grazie ai suoi effetti antinfiammatori, la dottoressa Frederike T. Fellendorf e il dottor Mirko Manchia - insieme ad altri colleghi del Dipartimento di scienze mediche e salute pubblica dell’Università di Cagliari - hanno confrontato i livelli dei metaboliti del triptofano nel plasma dei pazienti bipolari con quelli dei soggetti sani, per individuare possibili differenze; dopodiché hanno valutato se esistesse una relazione tra la risposta dei pazienti al litio e i livelli delle sostanze summenzionate.

Allo studio - pubblicato di recente sul Journal of clinical medicine - hanno preso parte 48 soggetti sani e 48 pazienti bipolari in stato eutimico (ossia, con l’umore entro i limiti della norma) in cura presso l'Unità di Psichiatria dell’AOU Cagliari.

I risultati

Dalle analisi del plasma, è emerso che i pazienti bipolari avevano livelli di triptofano inferiori rispetto ai soggetti sani, mentre quelli di chinurenina (un precursore dell'acido quinolinico) e il rapporto chinurenina/triptofano erano superiori, a indicare una degradazione del triptofano più alta del normale; ma i livelli di acido quinolinico - contrariamente alle aspettative - erano addirittura inferiori rispetto a quelli misurati nei sani (secondo gli autori, grazie agli effetti a lungo termine della terapia stabilizzante).

Inoltre, nel sottogruppo di pazienti curati con il litio, gli autori hanno osservato che i livelli di acido quinolinico e precursori era più alto nei pazienti che non rispondevano al farmaco, a supporto di quanto ipotizzato riguardo al suo meccanismo d’azione.

Gli studiosi hanno esteso le analisi anche al valproato e alla lamotrigina (farmaci antiepilettici dotati di azioni stabilizzanti) ma non hanno riscontrato alcuna relazione tra la risposta clinica e i livelli plasmatici di metaboliti.

Conclusioni

Pur con tutte le sue limitazioni, tra cui il numero esiguo di partecipanti, lo studio getta le basi per valutazioni più approfondite riguardo alle potenzialità cliniche di questi nuovi marker; nel caso vengano confermate, si potranno pianificare strategie terapeutiche personalizzate, che permettano una gestione ottimale del disturbo a beneficio dei pazienti.

Jessica Zanza

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Europa, allarme obesità

C'è un'epidemia silenziosa che colpisce le persone in Europa: è il sovrappeso e l'obesità, che si stima abbiano un ruolo in più di 1,2 milioni decessi ogni anno, pari a oltre il 13% della mortalità totale nel vecchio continente.

A lanciare l'allarme è l'ufficio europeo dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), che ha presentato pochi giorni fa un nuovo Rapporto in cui si evidenzia come nessuno degli Stati membri dell’Unione europea sia attualmente sulla buona strada per fermare l'aumento di peso tra la popolazione.

Attualmente in Europa il 59% degli adulti e quasi 1 bambino su 3 è in sovrappeso od obeso. Il fenomeno non risparmia neanche i bambini più piccoli, tanto che si stima che il 7,9% nella fascia di età inferiore ai 5 anni soffra di un eccesso di peso. La prevalenza aumenta nella fascia di età 5-9 anni, con un bambino su otto obeso (11,6%) e quasi uno su tre in sovrappeso (29,5%).

Durante l'adolescenza si registra una diminuzione della prevalenza (il 7,1% nella fascia di età 10-19 anni è obeso e il 24,9% è in sovrappeso). I tassi di sovrappeso e obesità tornano tuttavia a salire in età adulta, fascia in cui si registra un tasso di obesità del 23%.

L'Oms ricorda come obesità e sovrappeso siano associate a un alto numero di malattie: sono per esempio coinvolte nell'insorgenza di 200.000 nuovi casi di cancro all'anno e si stima che causino il 7% degli anni totali vissuti con disabilità in Europa. Cifre destinate a crescere nei prossimi decenni, se si considera che, secondo l'Oms, per alcuni paesi della regione l'obesità supererà il fumo come principale fattore di rischio per il cancro prevenibile.

Per contrastare l’"epidemia di sovrappeso e obesità" l'Oms sollecita gli Stati membri ad adottare misure efficaci (come tassare le bevande zuccherate o facilitare l'accesso ai servizi dedicati alla salute alimentare) e politiche in grado di migliorare le abitudini alimentari e di aumentare l'attività fisica nel corso della vita, a partire dalla più tenera età.

Red. Ins.

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