I pericoli per gli adolescenti sono sempre di più, anche nell’ambiente domestico. Non si tratta di una minaccia rappresentata dalla famiglia, bensì da tutto quello che ormai circonda quotidianamente ragazze e ragazzi: videogame, social media e abuso di cibo. Una tendenza certificata dallo studio “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”, frutto di un accordo tra il Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità. Sono oltre 1 milione e 150mila gli adolescenti italiani che soffrono di un disturbo legato alla sfera del cibo. Quasi 500mila hanno un rapporto patologico con i videogame, mentre 100mila teenager presentano una problematica relativa all’abuso dei social network.

Il lavoro condotto dal pool di esperti, insieme a Explora Ricerca e analisi statistica, si fonda sull’intervista di oltre 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni (3.600 delle secondarie di primo grado, 5.100 delle secondarie di secondo grado su tutto il territorio nazionale): l’obiettivo era ottenere un campione il più possibile rappresentativo della popolazione. Esaminando i profili di rischio e i comportamenti dei ragazzi, si è cercato di approfondire anche il tema delle competenze genitoriali.

Social e videogiochi

Circa il 2,5% del campione analizzato presenta le caratteristiche di una dipendenza da social media, una percentuale che supera il 3% nelle studentesse tra gli 11 e i 13 anni e addirittura il 5,1% nelle ragazze della fascia anagrafica 14-17. Il disturbo da abuso di videogiochi riguarda invece una percentuale più ampia di giovani, il 12% del campione, con il genere maschile che è nettamente il più colpito, con il 18% nelle secondarie di primo grado e il 13,8% nelle scuole superiori. In relazione all’età, la percentuale di rischio maggiore si riscontra nelle scuole medie, con il 14,3% dei ragazzi considerati vulnerabili, dato in flessione al 10,2% alle superiori. I fattori associati a questo comportamento sono due: la depressione, in forma moderatamente grave o grave, e l’ansia sociale.

Il rapporto con il cibo

Attenzione poi alla dipendenza legata all’abuso di cibo (o alla rinuncia alla nutrizione). Stando all’Iss, quello che in gergo viene definito rischio di “food addiction” interessa oltre un milione e centomila studenti nella fascia 11-17 anni nel nostro Paese (le ragazze  sono 750mila). Il 13,1% degli studenti italiani presenta un rischio lieve, il 6,4% un rischio moderato, il 9,3% un rischio grave. Quest’ultima fascia, nel periodo che va dagli 11 ai 13 anni, è 11,62 volte più vulnerabile alla depressione rispetto a un soggetto “sano”. Il dato è pari a 6,55 per quanto riguarda la depressione moderata e a 4,43 in relazione all’ansia moderata. Numeri, questi, che non possono che generare allarme in famiglia.

Il parere dei genitori

La conseguenza principale di queste dipendenze è la scarsa comunicazione tra le mura domestiche: quasi il 76% dei giovani a rischio di dipendenza da social media manifesta una difficoltà comunicativa, percentuale che scende al 58,6% nei soggetti con dipendenza da videogame e risale al 68,5% nei casi di food addiction.

Una situazione che finisce per generare malintesi all’interno delle case italiane: l’8,6% dei genitori che dichiarano di non osservare problematiche in famiglia in relazione all’utilizzo fuori scala dei videogiochi presenta invece un figlio il cui profilo corrisponde alla gaming addiction. Un rischio evidentemente sottovalutato da mamma e papà. Nel 3,7% dei casi di game addiction, i genitori credono che il figlio non giochi con i videogiochi.

Lo schema si ripete purtroppo anche nell’ambito della food addiction: per quanto riguarda il campione di genitori che dichiarano di non osservare comportamenti legati a un’assunzione incontrollata di cibi poco salutari, nel 20% dei casi in famiglia è presente un disturbo alimentare (di grave entità nel 5,2% dei casi). Al contrario, più di un genitore su due di quelli che affermano di riscontrare un’assunzione incontrollata in realtà ha a che fare con figli che non presentano rischi. Ciò conferma quanto sia difficile per mamma e papà capire quanto accade tra le mura domestiche.

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Allarme isolamento fin dalle scuole medie: il diffuso fenomeno degli “hikikomori” riguarda anche l’Italia

Le dipendenze implicano pesanti conseguenze anche sul piano sociale, contribuendo ad aggravare una situazione caratterizzata dal crescente isolamento dei più giovani. Gli studenti nella fascia 11-13 anni presi in esame dallo studio dell’Iss “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z” presentano infatti una tendenza a recidere i legami con le altre persone. L’1,8% dichiara di essersi isolato tutti i giorni negli ultimi sei mesi, percentuale che scende all’1,6% nella fascia anagrafica 14-17. La prevalenza più alta è tra le ragazze (1,9% per chi frequenta le scuole medie, 2,4% nel caso delle studentesse delle superiori); l’età più critica viene individuata nei 13 anni.

La parola

Il fenomeno è noto con il termine di “hikikomori”, parola di origine giapponese (“hiku”, tirare; “komoru”, ritirarsi o chiudersi) che indica chi ha scelto di isolarsi completamente, allontanandosi dalla vita sociale.

Lo studio del Cnr

Questo comportamento è stato indagato con attenzione anche dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, in uno studio promosso dalla Onlus Gruppo Abele. Una ricerca che ha coinvolto oltre 12mila studenti nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni. “Il 2,1% del campione attribuisce a se stesso la definizione di hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca a livello nazionale (riferimento ai numeri disponibili al 2018, fonte Ministero dell’Istru-
zione), si può quindi stimare che circa 54mila ragazzi italiani della scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale”, ha spiegato Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr-Ifc. L’età ritenuta maggiormente a rischio, in base allo studio del Cnr, è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un senso di inadeguatezza alla vita sociale che in realtà risale già al periodo delle scuole medie. Il bullismo non sembrerebbe una delle ragioni prevalenti alla base del comportamento, mentre emerge una fatica generalizzata a rapportarsi in maniera soddisfacente con i coetanei, che porta all’autosvalutazione e, di conseguenza, all’isolamento.

I risultati

Il 18,7% degli intervistati dal Cnr afferma di non essere uscito di casa per un tempo significativo; l’8,2% di non averlo fatto per un periodo che va da uno a sei mesi; circa l’1,7% degli studenti italiani sarebbe invece definibile come hikikomori, con una permanenza in casa che supera i sei mesi. Le ragazze sarebbero più propense a trascorrere il tempo tra le mura domestiche leggendo, guardando la tv e dormendo, mentre i ragazzi si dedicano ai social network e al gaming online.

Il rischio sottovalutazione

Sonia Cerrai, ricercatrice Cnr-Ifc, lancia l’allarme in merito alla percezione di un fenomeno che in Italia continua ad aumentare, anche a causa della poca conoscenza di quello che è un disagio da non sottovalutare: “Un dato parzialmente sorprendente riguarda la reazione delle famiglie: più di un intervistato su quattro, fra coloro che si definiscono ‘ritirati’, dichiara infatti che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande. Il dato è simile quando si parla degli insegnanti”.

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L’analisi dei dati: il boom del digitale dovuto al Covid-19

La pandemia ha provocato un aumento improvviso dell’utilizzo dei dispositivi digitali da parte dei giovani. Secondo il 17esimo Rapporto Censis, con riferimento ai dati del 2020, l’uso degli smartphone è cresciuto all’83,3%, con un allarmante +7,6% rispetto al 2019. Sono saliti del 6,7% (assestandosi al 76,6%) gli utenti dei social network, con un incremento impressionante tra i più giovani: nella fascia 14-29 anni, il 92,3% degli italiani utilizza WhatsApp, l’82,7% YouTube, il 76,5% Instagram, il 65,7% Facebook. Più di un terzo ha accesso a Spotify e TikTok (rispettivamente il 36,8% e 34,5%).

Le indicazioni

Il rischio di overdose digitale, che riguarda gli adolescenti italiani, può generare la cosiddetta “depressione da social”: uno studio pubblicato dall’Italian Journal of Pediatrics, che ha preso in esame il periodo che va da marzo 2020, ossia l’inizio della pandemia, a marzo 2021, ha evidenziato il crollo degli accessi totali degli Under 18 ai Pronto Soccorso (-48,2%, prevalentemente a causa dei lockdown e della paura dei contagi), ma un drastico aumento degli accessi dei minori con patologie di interesse neuropsichiatrico (+84%), con cifre preoccupanti per gli accessi per ideazione suicidaria (+147%), depressione (+115%) e disturbi della condotta alimentare (+78,4%). Secondo numerose ricerche internazionali, l’utilizzo dei social network per più di due ore al giorno può aumentare le probabilità di depressione.

Una delle soluzioni promosse dagli esperti riguarda l’esercizio fisico, soprattutto nella fascia 13-18 anni: un’attività sportiva, anche lieve ma regolare nel corso della settimana (almeno due-tre volte), è in grado di alleviare gli effetti della depressione nell’arco di 6-12 settimane. In pandemia, l’attività fisica di bambini e adolescenti è crollata del 20% rispetto al periodo pre-pandemico.

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