I numeri fanno pensare. A fronte di circa 120.000 persone con diabete sull’Isola, le stime dicono che circa 13.000 sono i soggetti con diabete di tipo 1, di cui 1500 bambini. Con circa 120-150 nuovi casi l’anno di questa forma pediatrica, la Sardegna è in testa ai vertici mondiali. Per fortuna la qualità di vita dei pazienti migliora sempre di più, grazie alla tecnologia e a strumenti che controllano costantemente la glicemia e aiutano ad offrire le giuste dosi di insulina, l’ormone mancante. Ma ci vuole appropriatezza. Ovvero questi dispositivi vanno impiegati quando servono.

È il messaggio che viene dagli esperti che venerdì 17 marzo hanno partecipato a Ippocrate, il programma di Videolina dedicato alla salute. Insieme a Carlo Doria, assessore regionale alla Sanità, Giancarlo Tonolo, Direttore della Struttura complessa di Diabetologia della Asl Gallura, direttore dipartimento bassa intensità assistenziale e cronicità ASL Gallura e coordinatore regionale di SIMDO, Carlo Ripoli, Direttore SSD Diabetologia Pediatrica - AO G. Brotzu di Cagliari e Riccardo Trentin, Presidente Federazione Rete Sarda Diabete.

«L’automonitoraggio della glicemia e le penne per iniezioni di insulina vengono progressivamente sostituiti da tecnologie più avanzate, come il monitoraggio glicemico continuo (CGM) che forniscono dati in tempo reale per aiutare i diabetici a evitare livelli glicemici troppo bassi o troppo alti oltre ad informare i medici per indirizzare il trattamento – spiega Tonolo –. Le pompe per insulina offrono anche la possibilità di regolare l’infusione di insulina basale e, tramite dei calcolatori che utilizzano il rapporto insulina/carboidrati e i fattori di correzione a seconda del momento della giornata e dello specifico paziente, permettono il calcolo dei boli insulinici più finemente calibrati in funzione delle variabili, rispetto a quanto consentito dalle iniezioni. Strumenti più aggiornati combinano il CGM con le pompe da infusione continua di insulina, per rendere automatico il calcolo del dosaggio e la sua somministrazione».

Si chiamano sistemi ibridi ad ansa chiusa, ibridi perché automaticamente mantengono la glicemia stabile al di fuori dei pasti, ma necessitano dell’intervento del paziente per la somministrazione del bolo prandiale. Insomma. È una rivoluzione per l’approccio personalizzato all’auto-gestione. Ma se è vero che la tecnologia può essere d’aiuto per tutti, occorre che il paziente sia partecipe e scelga con il team dei curanti l’impiego degli strumenti. «Sfatiamo che la tecnologia permetta di dimenticare il diabete – fa sapere l’esperto – . Con un impegno costante aiuta a raggiungere obiettivi clinici molto ambiziosi senza pagare lo scotto della complicanza ipoglicemia o almeno riducendo fortemente questa possibilità: ma bisogna rispettare le scelte del malato che può avere barriere psicologiche e/o sociali. Il contesto psicologico e sociale del paziente è fondamentale anche per la scelta di quale di questi sistemi sia più idoneo per lui: apparentemente sono uguali, ma in effetti non è così».

La tecnologia nella gestione del diabete tipo 1 quindi può favorire la relazione medico-paziente e migliora il monitoraggio della glicemia e la somministrazione della terapia. «Ma va inserita in un percorso di risposta ai bisogni in termini di qualità di vita della persona con diabete, bisogni di salute fisica, personale e sociale – ricorda Trentin: occorre ad esempio affrontare in modo integrato il problema dell'inclusione del bambino – adolescente con diabete di tipo 1 in ambito scolastico e sportivo. Ho sempre creduto che tra le armi strategiche nella cura del diabete rientri l’educazione che crea consapevolezza. Educazione alla salute come prevenzione-promozione, all’interno di una concezione del benessere inteso anche come espressione culturale».

Red. Ins.

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