In questi mesi di epidemia da Coronavirus abbiamo ascoltato molti esperti che ci hanno spiegato cosa stesse accadendo, ci hanno insegnato regole per fronteggiare i rischi del contagio, ma c’è stata anche incoerenza nelle informazioni e teorie dibattute in ogni trasmissione televisiva o conferenza stampa quasi quotidiane. Segno che anche la scienza ha avuto qui i suoi limiti. Non la stessa cosa sembra sia avvenuta a livello globale: abbiamo infatti (ri)scoperto il valore della scienza stessa e degli scienziati, anche grazie all’interconnessione, elemento del quale non si potrà fare a meno nel futuro a partire da subito.

Il medico cagliaritano Antonio Barracca ha delle idee in proposito e, partendo da un’analisi su questa pandemia, ne rappresenta alcune. Specialista in nefrologia e urologia, autore di saggi e progetti sanitari, si occupa di Information Technology e di AI. Ultimo impegno su un applicativo, in collaborazione con un centro nefrologico italiano, che aiuterà i medici delle rianimazioni a prevedere lo sviluppo di un danno renale nei pazienti critici.

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Questa pandemia ha riportato in primo piano gli scienziati e soprattutto la scienza. Vediamo perché.

Perché ci ha fatto capire molte cose. Due esempi: i cittadini e noi stessi vorremmo che l’affidabilità dei tamponi con i quali si cerca la presenza del virus nelle mucose nasali fosse migliore. Perché questo sia possibile la scienza mette a disposizione delle verifiche alle quali tutti i test o gli esami devono essere sottoposti preventivamente. Queste prove si chiamano test di Sensibilità e Specificità. In poche parole il tampone in oggetto deve essere Specifico cioè una altissima proporzione di persone senza il virus deve risultare sempre negativa al tampone. Al contempo una altissima proporzione di persone con il virus deve risultare sempre positiva al tampone. E questa è la Sensibilità di un esame. Più è alto il valore di queste verifiche più i test saranno attendibili.

La scienza ci ha insegnato anche altro in questo periodo.

Questa epidemia ci ha costretto a fare delle scelte, ad usare farmaci già presenti ed usati per altre patologie. Come capita in tutti gli ambiti della medicina, alcuni ammalati è sembrato reagissero meglio con alcuni farmaci che con altri. Queste risposte potevano essere dovute al caso, vuol dire che alcuni pazienti avrebbero avuto un qualche miglioramento anche senza quel farmaco. Pertanto è imprudente da un singolo caso trarre conclusioni valide per tutti i pazienti. Servono studi clinici. Si seleziona un numero importante di pazienti che hanno caratteristiche simili e si valuta in un tempo prestabilito la risposta clinica, esempio i tempi di miglioramento dei pazienti trattati con un farmaco rispetto a quelli che hanno usato un farmaco standard.

L'utilizzo di alcuni farmaci e i risultati ottenuti.

E’ il caso del Remdesivir, sviluppato per malati da virus Ebola, si è visto nella sperimentazione che abbreviava il tempo di miglioramento clinico rispetto a farmaci di confronto, solo nei pazienti non in ventilazione meccanica. Ancora, la rivista The Lancet, questi giorni, ha pubblicato uno studio che ha dimostrato che l’uso della Idrossiclorochina, nel trattamento dei pazienti con Covid-19, non solo è inefficace ma può essere dannoso. Gli autori hanno stimato un tasso di mortalità per aritmie cardiache più elevato. Senza questo studio non lo avremmo saputo.

Questa pandemia ha messo in evidenza le gravi lacune dei servizi sanitari non solo per la impreparazione in cui sono stati colti, ma anche perché la sanità digitale tanto declamata si è rivelata impreparata.

Ciò che mi preoccupa maggiormente è la mancanza di dati sanitari della popolazione. Se li avessimo avuti ci saremmo accorti per tempo dell’eccesso di polmoniti interstiziali e avremmo capito precocemente ciò che stava capitando. Quanto ci è successo deve servire per costruire una sanità che deve partire necessariamente dalla conoscenza epidemiologica della popolazione. In Sardegna questo aspetto è stato trascurato, ma è fondamentale. Ma non è il caso di aprire ora il capitolo della sanità della Sardegna.

Idee da mettere in campo per unire salute dei cittadini e pensiero digitale.

Mi piacerebbe che ai medici venisse richiesta una particolare conoscenza informatica e statistica. Infatti la conoscenza sempre di più sarà veicolata da strumenti informatici. Questi strumenti daranno valore aggiunto anche perché daranno più tempo ai medici da dedicare alla cura dei pazienti. Tutto ciò non è una opzione è una urgente necessità perché solo raccogliendo in maniera sistematica i dati di cui parliamo potremmo migliorare tutto il sistema sanitario dalla prevenzione alla diagnosi ed alle opzioni terapeutiche. Questa trasformazione digitale se ben supportata porterà un rinnovamento dei servizi sanitari e li avvicinerà ai cittadini.

Sentiamo dire forse troppo spesso che dopo la pandemia nulla sarà come prima.

Penso che si rischi di fare affermazioni banali, tanto per farsi coraggio sperando in chissà quale futuro diverso. A me sembra che poche siano le cose certe. La prima è sicuramente la grande richiesta di assistenza che le persone si aspettano. La seconda mi sembra più realistica, forse drammatica. E’ la mancanza di idee, idee di sviluppo, di società, di ambiente. Per certo la globalizzazione, che pensiamo sia stata messa in crisi, riprenderà sotto altra veste, quella della globalizzazione digitale dei lavori fatti da persone che lavorano in altre nazioni e dell’aumento delle disparità. Mi sembra un capitolo della nostra epoca che coinvolgerà tutto il pianeta, perché saremmo sempre più interconnessi. Pertanto dovremmo principalmente porci il problema della sostenibilità delle scelte di vita. Questo, però, è un tema cruciale sul quale sarà necessario raccogliere le nostre migliori energie e competenze per affrontarlo con un’ottica di lungo respiro.

L’imponente numero di malati di Covid-19 ha messo in crisi soprattutto le terapie intensive.

Questo ha costretto i medici a fare scelte drammatiche. Di fronte ad una carenza di respiratori automatici hanno dovuto scegliere sulla base dell’età, della speranza di vita e delle comorbidità a chi dare la precedenza. L’allocazione delle risorse, non solo in medicina, è il tema cruciale di quella che si chiama giustizia distributiva, che per Aristotele significava dare a ciascuno il suo. Solitamente l’allocazione delle risorse è improntata al principio del “primo arrivato, primo servito”.

Il tema sociale ed etico.

La pandemia ha evidenziato come questi principi sono saltati perché nessun comitato etico o servizio sanitario aveva immaginato capitasse una condizione di tale gravità. Ma noi tutti dobbiamo riflettere perché è vero che i medici hanno dovuto scegliere a quali pazienti dare le cure in terapia intensiva, ma è altrettanto vero che nelle residenze sanitarie, dove erano accolte le persone più fragili si è verificato il maggior danno e che molte persone sono morte per non aver potuto proprio accedere negli ospedali sigillati. Questo della giustizia distributiva è un tema sociale ed etico che si deve affrontare immaginando scenari complessi, ma partendo dal fatto che serve avere una prospettiva di risorse non razionate come invece si è verificato nel nostro paese.

Antonio Barracca

(Cagliari)
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