Abbiamo sempre pensato che la circolazione di notizie e informazioni fosse una garanzia per la democrazia, una forma alta di controllo sociale. Da qualche tempo però nutriamo qualche riserva, confermata dal recentissimo ingresso nel nostro dizionario della lingua italiana, a proposito dell'epidemia di Coronavirus, del neologismo "infodemia", ovvero «una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili». Questo si legge nel sito on line della Treccani, una delle più belle istituzioni della cultura italiana, che ha il merito di tenere costantemente aggiornati i suoi lettori sull'evoluzione della lingua italiana e sui neologismi che l'arricchiscono. Settimanalmente il sito aggiorna la rubrica, citando la fonte di provenienza della parola (per lo più i giornali): così troviamo "eatalyano", vocabolo della lingua glocal del cibo (Corriere on line del 24 gennaio) o "meghanmarklerare", cioè l'atto di lasciarsi alle spalle una vita dove i rapporti sono difficile e soffocanti e cambiare pagina. Non tutti possono farlo trasferendosi in Canada come la duchessa di Sussex, ma ci si arrangia con mezzi più semplici come un cellulare: «Ho totalmente meghanmarklerato il mio ex, ieri sera, non rispondendo ai suoi messaggi», si leggeva su Repubblica del 28 gennaio.

È molto probabile che questi vocaboli abbiano una vita breve, circolino e poi scompaiano. Merita invece una riflessione più attenta il termine "infodemia", perché tira in ballo la salute, la ricerca scientifica, i rapporti economici internazionali tra nazioni, la possibilità di viaggiare. Il termine è composto dalla parola inglese "information" ed "(epi)demic", epidemia. In inglese si tratta di una parola d'autore, coniata da David J. Rothkopf, il quale ne ha trattato in un articolo comparso nel quotidiano Washington Post, "When the Buzz Bites Back" (11 maggio 2003). Ma soprattutto "Infodemic" ricorre nei documenti ufficiali dell'Organizzazione mondiale della Sanità ora che il virus, riscontrato per la prima volta in Cina nella città di Wuhan, si è propagato per il mondo. Oltre alla necessità di trovare un vaccino contro la nuova forma influenzale, che al momento ha fatto più vittime della Sars, l'Oms cerca anche una cura contro l'infodemia: «è quel che si sta preoccupando di trovare l'Organizzazione mondiale della sanità, allertando sull'ondata di fake news che il Coronavirus di Wuhan sembra essersi portato con sé in molti altri Paesi del mondo, oltre alla Cina. Ben più di quelli dove la malattia legata al nuovo coronavirus si è manifestata finora», scriveva il 2 febbraio Simone Corsini, giornalista di Repubblica.

Più caustico Luca Fazzo del Giornale.it, che il 3 febbraio parlava di "infodemia" come il vero virus globale contro il quale non si troverà mai alcun vaccino. Qual è la sua teoria? Fazzo sostiene che l'annuncio dell'isolamento del virus da parte del team di ricercatori italiani dello Spallanzani fa un po' sorridere: «Eccoci, siamo noi, disordinati e geniali, quelli che nel loro casino arrivano dove non arrivano i grandi del pianeta». La partita contro per l'isolamento del virus è una lotta globale, dove i saperi si scambiano e il piccolo passo di ciascuno serve alla battaglia del mondo. Ma tant'è. Le informazioni incomplete continuano a circolare, rilanciate in diretta da idioti di tastiera e diffuse come fanno gli untori sui social. In questa baraonda ancora non sappiamo se il responsabile è un pipistrello, un serpente, le tante Spectre disseminate nel pianeta.

Un fatto è certo: in un Paese come la Cina, dove la circolazione delle notizie non è libera, il giovane dottore Li Wenliang, 34 anni, oculista, il primo a lanciare l'allarme, non solo non è stato creduto ma gli è stato imposto di tacere e di difendersi dall'accusa di voler spaventare la popolazione. Quando l'epidemia è esplosa il giovane dottore è stato riabilitato, troppo tardi. Il virus l'ha ucciso. Il silenzio fa paura, ma l'infodemia pure.
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