Chiusi in casa da ventisette giorni, a percorrere cento volte un andito di sei metri, a sedersi in poltrona, rialzarsi e comporre all'infinito numeri di telefono ai quali non risponde mai nessuno. E se qualcuno risponde è per dare risposte sempre diverse e mai risolutive.

Il capofamiglia ha avuto i primi sintomi dell'infezione da coronavirus il 13 ottobre scorso. Il 22 gli è passato tutto ma né lui né sua moglie, anche lei in isolamento, sono ancora riusciti a uscire di casa perché non riescono ad avere l'esito del secondo tampone. «Siamo prigionieri della disorganizzazione del sistema», dice. E spiega perché.

Il racconto

«Il 13 ottobre ho accusato i primi sintomi leggeri e ho informato il mio medico di base, che ha subito attivato la procedura prevista dai protocolli. Dopo sette giorni di attesa, finalmente sono venuti a casa e ci hanno fatto il tampone. L'esito, così ci hanno detto, sarebbe dovuto arrivare dopo tre-quattro giorni. Ma arriva solo il 27, cioè una settimana dopo: positivi. Mi comunicano anche che avremmo dovuto fare il tampone di controllo il 2 novembre. Nel frattempo», prosegue l'uomo, «io dal 22 non ho più sintomi».

Il conto alla rovescia

Inizia un altro conto alla rovescia in una casa che diventa ogni giorno più piccola con quell'andito che si trasforma in un boulevard da percorrere ancora all'infinito «con le gambe che giorno dopo giorno si assottigliano per la mancanza di attività», racconta ancora. Nel frattempo ricevono tre telefonate da tre persone diverse dell'Usca: «Ognuno di loro chiama all'insaputa dell'altro e ad ogni telefonata devo ripetere le stesse cose e fornire gli stessi dati. Ogni volta faccio presente che ho già parlato con un loro collega, mi dicono che devo avere pazienza perché sono strapieni di lavoro. Uno mi dice addirittura che segnerà tutto su un post-it e riferirà ai colleghi. Io trasecolo e faccio presente che mi sembra che gestore un'emergenza con i post-it mi sembra assurdo».

La beffa

Intanto, dopo alcuni rinvii, fa il tampone di verifica e aspetta l'esito ma intanto scopre che nel suo fascicolo sanitario della sua vicenda non risulta niente. Chiama decine di volte i numeri di riferimento, quasi impossibile parlare con qualcuno o ottenere risposte. Del secondo tampone nessuna notizia.

Venerdì sono passati 26 giorni da quando ha chiamato il suo medico di base e finalmente riceve una telefonata dall'Ats. Pensa, com'è ovvio, che debbano comunicargli l'esito del test di verifica. «Invece mi fanno sapere che in seguito al tampone del 20 ottobre devo osservare la quarantena. Incredibile. A nulla serve spiegare che la quarantena la sto facendo da quasi un mese e che aspetto solo l'esito del secondo tampone che mi consentirebbe, finalmente, di uscire di casa. Ma sono confusi, non riescono a dare risposte. Capisco il personale, ma questa disorganizzazione è inconcepibile». (f. ma.)

© Riproduzione riservata