Il vecchio adagio secondo cui “il percorso lo fanno i corridori” è sempre valido. Ma il Giro d’Italia numero 105 di occasioni per fare la differenza e magari anche portare la corsa sul binario dello spettacolo ai 176 corridori iscritti ne presenterà parecchie nei 2410,3 km di un tracciato che trascura (necessariamente) il Centro. Sin dalla prima tappa, quella che scatta da Budapest e arriva sul castello di Visegrad, dopo quasi 6 km di dolce (ma non troppo) ascesa. Al momento di scoprire il percorso ufficiale, gli appassionati hanno contato le salite, soprattutto quelle più note, iconiche, storiche: Etna, Blockhaus, Stelvio, Gavia, Pordoi, Fedaia, Colle delle Finestre, Mortirolo. Altre sono meno note (l’inedito Kolovrat) o meno importanti (il Tonale in avvio di tappa) ma sono comunque tante, visto che il dislivello complessivo è di 50.580 metri.

Il fattore tempo

Inserite con molta parsimonia, ci sono poi le cronometro, che abbiamo riscoperto da quando Filippo Ganna (assente) ma anche Matteo Sobrero o Edoardo Affini ci hanno restituito la possibilità di essere competitivi: 9,2 km a Budapest il secondo giorno, 17,4 a Verona per la conclusione che a molti fa venire in mente la rimonta di Francesco Moser sul povero Laurent Fignon nel 1984, ma che a Richard Carapaz ricorderà invece il trionfo del 2019. Magari non incideranno sul risultato finale ma, in caso di arrivo ravvicinato, potrebbero invece essere decisive per l’assegnazione della maglia rosa o magari per il podio.

Il via dall’estero

Si parte dall’estero e non è il caso di cadere dalle nuvole. Il Giro, il Tour o la Vuelta (i tre cosiddetti Grandi Giri) hanno da tempo inserito nel tracciato territori all’estero, per una ragione squisitamente economica. È giusto così. Organizzare questo spettacolo costa, qualcuno deve pagare e paga la popolazione. Chi assiste alla corsa, con un’emozione che solo chi ha provato conosce, è ospite di se stesso e di chi sta a casa: la tappa è gentilmente offerta dalle amministrazioni pubblica e, in parte minore, dagli sponsor. Avviene per tutto, dalla Formula 1 ai campionati del mondo. E se a pagare (e tanto) è un governo straniero, va bene lo stesso. Il Giro è anche un prodotto d’esportazione. Belgio, Olanda, Danimarca, Irlanda, Israele hanno sborsato cifre rilevanti per poterlo ospitare e stavolta lo ha chiesto e ottenuto (al secondo tentativo, dopo i problemi della pandemia) l’Ungheria.

I protagonisti

Il problema, semmai, non è che il percorso sia un po’ meno italiano, ma che è molto meno italiano il gruppo. Ormai senza squadre World Tour da alcuni anni (Liquigas e Lampre le ultime), l’Italia sta cominciando a diventare poco presente sul podio dei Grandi Giri. Il secondo posto di Damiano Caruso al Giro d’Italia 2021 non avrà un seguito rosa perché il siciliano è stato “dirottato” dalla Bahrain Victorious al Tour. La classe immensa di Vincenzo Nibali (nella foto), tornato all’Astana ma reduce da un inverno di Covid, non sembra tale da giustificare il ribaltamento di un pronostico che tende a considerarlo poco per la classifica finale. Il suo giovane ex compagno alla Trek, Giulio Ciccone, non ha ancora dato l’impressione di essere competitivo sulle tre settimane e Lorenzo Fortunato, primo sullo Zoncolan nel 2021, sembra acerbo. Bello sarebbe essere smentiti ma i favoriti sono altri: lo stesso Carapaz, il portoghese Joao Almeida, il redivivo olandese Tom Dumoulin, il britannico Simon Yates o il francese Romain Bardet. Non sono i soli. La bellezza del Giro è anche la capacità di regalare sorprese.

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